il Giornale, 15 dicembre 2014
Morti per l’amianto, la firma che inguaia De Benedetti. Per la procura di Ivrea era alla testa di una catena di comando che doveva vigilare sulla salute dei lavoratori. E conosceva i rischi
C’è una firma che accusa Carlo De Benedetti per le morti da amianto all’Olivetti. Non solo responsabilità oggettiva, non il consueto «non poteva non sapere». Per la Procura di Ivrea, l’Ingegnere stava in testa alla catena di comando che doveva vigilare sulla salute di chi lavorava negli stabilimenti del gruppo, e che aveva ben presente come l’amianto fosse quasi ovunque. Era De Benedetti, come amministratore delegato, a scegliere direttamente i manager della sicurezza. C’è la sua firma su una serie di nomine. E c’è la sua firma – insieme a quella del presidente dell’epoca, Bruno Visentini – sul provvedimento che il 25 settembre nomina a capo del «servizio centrale di sorveglianza» dell’azienda Silvio Preve. Ovvero il manager che il rapporto dell’Asl di Ivrea indica come responsabile prima del Servizio centrale di sorveglianza e poi della divisione Sicurezza industriale, e che oggi la Procura accusa di portare la responsabilità diretta di una delle morti; ed è sempre sotto la gestione di De Benedetti che viene affidata, il 4 luglio 1983, l’organizzazione Sicurezza sul lavoro a Manlio Marini, oggi accusato di una lunga serie di morti per amianto.
L’indagine sull’Olivetti non farà la fine dell’altra grande inchiesta sull’amianto assassino, quella della Procura di Torino, nata con una imputazione sbagliata e costretta a ripartire da zero, dopo clamorosa sentenza della Cassazione che il 19 novembre scorso ha dichiarato prescritto il reato di disastro colposo. Invece l’indagine della procura di Ivrea sull’amianto all’Olivetti ha messo fin dall’inizio sotto accusa i manager e gli amministratori per omicidio colposo e lesioni personali. Un capo d’accusa per ogni lavoratore colpito da mesotelioma per essere rimasto esposto all’amianto nei reparti, negli uffici e persino nella mensa degli stabilimenti dell’Olivetti. Per lungo che sia il processo, almeno le morti più recenti non si prescriveranno.
Il 25 settembre scorso la Procura di Ivrea ha inviato a tutti i 39 indagati l’avviso che le indagini erano concluse, dando venti giorni di tempo per farsi interrogare o depositare memorie difensive. I giorni sono abbondantemente passati, e Carlo De Benedetti non si è presentato né ha inviato niente. Nulla neanche da suo fratello Franco, anche lui per anni amministratore delegato di Olivetti, e in anni più recenti senatore del Pd. Gli unici della famiglia a mandare una memoria difensiva sono stati i due figli dell’Ingegnere, Marco e Rodolfo, pure loro ex consiglieri d’amministrazione del gruppo. Nei prossimi giorni il procuratore Giuseppe Ferrando e i pm Lorenzo Boscagli e Laura Longo tireranno le fila, e chiederanno il rinvio a giudizio di tutti per omicidio colposo aggravato. E la sorte dei De Benedetti e dei loro coimputati – tra cui altri nomi importanti, come Corrado Passera e Roberto Colaninno – finirà nelle mani del giudice preliminare, sul cui tavolo approderà la massa impressionante dei documenti d’inchiesta, già messi in queste settimane a disposizione delle difese. Venticinque faldoni, oltre ventimila pagine. Per la Procura, è la storia di come per anni nei reparti si fosse tollerata la presenza di amianto nei soffitti, nei controsoffitti e nelle pareti, e per infilare più agevolmente i fili nei tubi si fosse utilizzata polvere di tremolite, ovvero amianto.
I faldoni sono ricchi di documenti eloquenti. Faldone 3, un appunto a mano firmato «F. Abelli» del 22 settembre 1994, in piena era De Benedetti: «In merito al piano per togliere l’amianto dall’officina H, faccio osservare a fronte di un sopralluogo, certo, della Usl 24 ci troviamo con metà officina occupata e con la finitura d’amianto non in buono stato. Questo pone il grosso rischio di una segnalazione alla magistratura. Riflettiamo». Il problema era noto da tempo. Già il 27 settembre 1988, un «rapporto di prova riservato» del Servizio ecologia aziendale «in relazione alla presenza di amianto appurato sul rivestimento delle canaline per l’areazione dell’ex officina H» si leggeva che «è risultato che l’amianto è contenuto anche nel materiale di rivestimento della stessa linea di aerazione in alcune torri dei cavedi che servono i tre piani della Nuova Ico».
Racconta a verbale l’operaio Pier Luigi Giachino, ammalato dopo una vita spesa in Olivetti: «Controllavo le temperature degli ambienti anche percorrendo i cunicoli dove correvano tubature di grosse dimensioni interamente rivestite in amianto e anche deteriorate. Infatti erano rivestite da una rete e quando la rete si deteriorava l’amianto si sfaldava e si disperdeva nell’ambiente». Eppure, «fino al 1990 circa non ero fornito di mascherine o di altri dispositivi di protezione per le polveri, successivamente sono state date in dotazione comuni mascherine antipolvere (...) non sono stato informato dalla Olivetti sulla presenza di amianto nei materiali usati nella mia mansione e neppure sulla pericolosità che ne poteva derivare. Io ero a conoscenza della composizione di certi materiali perché lo leggevo sulla confezione».
La linea difensiva di De Benedetti, offerta non ai pm ma ai giornali, all’indomani della chiusura delle indagini, è affidata all’augurio che «possano essere chiariti i singoli ruoli e le specifiche funzioni svolte all’interno dell’articolato assetto aziendale della Olivetti». Come dire: ero troppo in alto, di queste cose non mi occupavo. Ma sul contatto diretto tra il vertice dell’azienda e chi si occupava materialmente di sicurezza degli impianti pesano i documenti sequestrati presso l’Archivio storico Olivetti, e soprattutto la voluminosa consulenza con cui il perito della Procura, l’avvocato Giancarlo Guarini, ha ricostruito i percorsi decisionali interni all’Olivetti. C’è una nota del 1972, che risale a prima dell’arrivo di De Benedetti, ma che non risulta modificata in seguito, secondo cui la «Direzione generale servizi urbanistici costruzioni e impianti opera alle dirette dipendenze del presidente e dell’amministratore delegato». Nel 1982, una nota aziendale colloca all’interno di questa direzione anche il servizio Ecologia e processi, affidato a Maria Luisa Ravera che oggi è tra i principali indagati del processo.
In che punto si interrompeva il flusso di informazioni che dai reparti avvelenati dall’amianto doveva arrivare al vertice aziendale? Come è possibile che una situazione allarmante come quella che emerge dalle note riservate non fosse nota ai massimi esponenti della Olivetti? A dimostrare la continuità del flusso, e la consapevolezza dei vertici, secondo la procura di Ivrea è un dato inoppugnabile: i soldi. Follow the money, segui i soldi, si legge spesso nei manuali per investigatori. E la regola vale anche in questo caso. Perché le bonifiche avevano un costo assai rilevante. E chi doveva occuparsene direttamente non aveva autonomia di spesa. Nella consulenza Guarini sono riportati una serie di provvedimenti con cui De Benedetti a partire dall’inizio degli anni ’80 nomina i responsabili della sicurezza del lavoro, tra cui diversi dei suoi coimputati di oggi. Per tutti, nella consulenza Guarini, si legge: «Poteri di spesa non indicati». E se non erano loro ad avere le chiavi della cassa, come potevano essere loro a decidere se e dove realizzare le bonifiche?
Non sarà un processo facile, quello che la Procura di Ivrea si appresta a chiedere per i capi dell’Olivetti. Su tutto – dalle perizie mediche, alle questioni di diritto – uno stuolo di avvocati di grido si prepara a dare battaglia. Il procuratore Ferrando lo sa bene: «Ma una cosa è sicura: davanti a quello che è emerso nel corso delle nostre indagini, non avremmo potuto in nessun modo chiedere l’archiviazione delle accuse».