La Stampa, 15 dicembre 2014
Turchia, la mano durissima di Erdogan contro i giornalisti troppo scomodi per il suo potere autoritario. Retata di reporter allo Zaman. Le accuse sono di terrorismo, rischiano l’ergastolo. Gli Stati Uniti protestano: «Una violazione grave»
«Stanno arrivando poliziotti. Li vedo dalla mia finestra. Hanno anche gli idranti, come quelli che usavano a Gezi Parki. Adesso vediamo se ci buttano fuori a forza o vengono solo per quelli che vogliono arrestare. Siamo tutti qui, comunque». Ha la voce chiara e ferma Ahmet Cingir, giornalista del quotidiano «Zaman», che raggiunto al telefono, racconta come lui e gli altri dipendenti della testata abbiano vissuto il momento del blitz da parte della polizia turca.
«Anche se è domenica – spiega Cingir – siamo qui tutti e 1000 i dipendenti del giornale. I reporter, ma anche il personale amministrativo, i tecnici, gli addetti alle pulizie. Hanno voluto essere qui oggi, a farci coraggio, a dire no anche loro all’attentato alla libertà di espressione che stiamo subendo».
L’editore islamico ex amico
La sede del quotidiano «Zaman», fra i più letti in Turchia con quasi un milione di copie tirate, si trova a Yenibosna, quartiere nella parte europea di Istanbul. Fino a tre anni fa, l’editore di «Zaman», il filosofo islamico Fetullah Gulen e l’attuale presidente della Repubblica, Recep Tayyip Erdogan, erano grandi amici, tanto che Gulen aveva finanziato anche numerose campagne elettorali dell’allora primo ministro e Zaman era considerato un quotidiano filogovernativo. Poi i rapporti hanno iniziato a incrinarsi, da quando Erdogan ha voluto ampliare sempre di più i suoi poteri.
Inchieste sulla corruzione
Lo scorso 17 dicembre, la guerra all’interno della destra islamica turca è divenuta ufficiale con lo scoppio della cosiddetta «Tangentopoli turca». Decine di persone vicine a Erdogan sono finite in manette. Ma l’inchiesta è stata insabbiata. Erdogan ha prima incolpato Gulen, accusato di controllare buona parte della polizia e della magistratura. E ieri, a quasi un anno dallo scoppio della «Tangentopoli turca» è iniziata ufficialmente la sua vendetta. Fra i 27 giornalisti finiti in manette, c’è anche il direttore di «Zaman», Ekrem Dumanli. Sono accusati di terrorismo e adesione a organizzazione criminale. Se i capi di accusa verranno confermati, rischiano l’ergastolo.
«Il direttore era qui da venerdì – spiega ancora Cingir -. Non ha lasciato la redazione un attimo. Ha continuato a fare coraggio e a sorridere a tutti i redattori fino all’ultimo. Lo sapeva che lo sarebbero venuto a prendere. Siamo uno dei quotidiani più letti e 32 colleghi sono stati accusati di essere terroristi. Come possiamo chiamare tutto questo?».
«Vengono a prenderci»
La polizia ha provato ad arrestare una prima volta Ekrem Dumanli ieri all’alba, ma si è trovata davanti 500 persone inferocite che urlavano «giù le mani dalla libertà di stampa». Lo hanno portato via nella tarda mattinata. Dumanli è uscito dalla redazione fra gli applausi, ringraziando i caporedattori che lo salutavano con le lacrime agli occhi. «È stato duro – spiega ancora Cingir -, ma ci siamo guardati in faccia e ci siamo detti meglio così. Siamo perseguitati da un anno. Alcuni miei colleghi hanno avuto anche problemi con i bambini a scuola. Con questi arresti Erdogan ha calato definitivamente la maschera. Ora è chiaro a tutti cosa stia diventando la Turchia». E il Dipartimento di Stato Usa conferma le preoccupazioni: «La libertà di stampa è basilare nella democrazia. Non va violata».