Corriere della Sera, 15 dicembre 2014
Giappone, Abe ha vinto. Il primo ministro ha confermato la «supermaggioranza» con cui aveva governato per due anni. Ora potrà restare in carica fino al 2018 e riconcentrarsi sull’Abenomics 2.0
Il Giappone dà fiducia al primo ministro Shinzo Abe e alla sua Abenomics. La scelta del voto anticipato è stata vincente: la sua «supermaggioranza» si è ancora rafforzata e il premier avrà ora tempo fino al 2018 per provare a rilanciare l’economia. La scommessa ha pagato: il primo ministro giapponese Shinzo Abe ha vinto le elezioni anticipate e confermato la «supermaggioranza» con cui aveva governato per due anni. Ora potrà restare in carica fino al 2018 e riconcentrarsi sull’Abenomics, la politica di rilancio dell’economia dopo più di quindici anni di stagnazione.
Quando Abe ha sciolto la Camera, la coalizione di governo formata dai suoi liberaldemocratici e dal Komeito controllava 326 dei 480 seggi: 295 il suo partito, 31 l’alleato. Oggi il nuovo Parlamento è composto da 475 deputati (per effetto di una riduzione programmata) e il premier può contare su 325 seggi: 290 libdem, 35 Komeito. Rielette anche Yuko Obuchi e Midori Matsushima, le due ministre costrette a dimettersi per scandali.
L’azzardo dunque è stato vincente: «La gente ha approvato il lavoro dell’Abenomics», ha detto senza scomporsi il premier. Ma soprattutto manca un’opposizione credibile. L’astensione è salita al massimo storico: ha votato solo il 52% dei 105 milioni di elettori, un 7% in meno rispetto al 2012.
Però, nonostante la mancanza di pathos, le elezioni nella terza potenza economica del mondo questa volta sono state osservate attentamente in tutto il mondo. Il primo merito del capo del governo nei due anni passati è stato proprio di tirare fuori il Giappone dal cono d’ombra di un’irrilevanza politica internazionale. Già il termine Abenomics è stato una trovata geniale di Abe, non una scoperta degli economisti, che però ne sono stati conquistati. Il premier ha parlato di «tre frecce»: la Banca centrale ha acquistato titoli di Stato stampando moneta (il cosiddetto «quantitative easing» sognato ora in Europa), la spesa pubblica è salita, è stata prevista una riforma del mercato del lavoro e di settori nevralgici come l’agricoltura.
Per alcuni mesi tutto sembrava funzionare, crescita del Prodotto interno lordo in ripresa, fine della deflazione. Poi lo slancio si è esaurito. Tokyo ha un debito pubblico enorme, al 240% del Pil. Per cercare di stabilizzarlo, ad aprile l’Iva è stata portata da un bassissimo 5 all’8%: i consumi si sono fermati. Con due trimestri consecutivi di calo del Pil, il Giappone è tornato in recessione. Le contraddizioni delle «tre frecce» sono esplose: non si può alzare l’Iva senza deprimere i consumi interni.
Abe così ha cercato un nuovo inizio. L’impresa però si scontra con una realtà demografica paralizzante: la popolazione in età lavorativa ha raggiunto un picco di 86 milioni negli anni 90 e da allora è scesa fino ai 77 milioni di oggi. Il problema non è solo di tasso di natalità, che è di circa 1,3 figli per donna, simile a quello di molti Paesi europei; al contrario di quanto avviene in Gran Bretagna, Germania, Francia, il declino della popolazione non è bilanciato dall’arrivo di lavoratori stranieri.
A questi problemi si aggiunge la scelta difficile di riaccendere le 48 centrali nucleari del Giappone, congelate dopo il disastro di Fukushima nel 2011. Poi la riforma costituzionale per consentire alle forze armate di partecipare ad azioni di auto-difesa con gli alleati. E la questione ad alto rischio dei rapporti con la Cina, avvelenati da rancori storici e dalla contesa territoriale per le isole Senkaku/Diaoyu.
Che farà questo Abe Due? Ci spiega Lian Degui, esperto di Giappone all’Istituto di Studi internazionali di Shanghai: «La sua base politica si è consolidata. Ci sono due ipotesi opposte: è un nazionalista di destra e potrebbe estremizzarsi; ma ha anche la forza per cambiare direzione. Ha una doppia personalità, è nato nazionalista, ma è un politico molto flessibile. Per me è più probabile che cerchi di migliorare i rapporti con Pechino».