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 2014  dicembre 12 Venerdì calendario

«Io lo vedo come un divertimento e lo vorrei liberare dalla noia che lo pervade. Per questo do sfogo al mio istinto e mi comporto come mi vedete. Tutto spontaneo, niente creato ad arte. Questa è la parte scherzosa, poi c’è il lavoro, una cosa seria, che ha bisogno di testa, cuore e gambe». Così Massimo Ferrero da sei mesi alla guida del club doriano, tra vittorie, battute e show in tribuna

Le note del  “Nessun Dorma” di Puccini come suoneria del telefonino. Orgoglioso di essere molto sveglio, Massimo Ferrero, 63 anni, presidente della Sampdoria. Quel “vincerò” gli dà una gran carica, e poi magari è di buon auspicio, visto che la sua squadra è l’ultima, 6 gennaio 2013, ad aver violato lo “Juventus Stadium”, dove torna domenica da quarta in classifica. Superfluo chiedergli un pronostico. «Io non ho paura, mai, né dell’Inter in Coppa Italia, non importa se ce la giocheremo a Milano, sarà più eccitante provare a battere Thohir a casa sua, né della Juve in campionato». Certezze, ottimismo, entusiasmo, ingredienti del suo Dna. Anche un po’ di vanità in quella sedia blucerchiata griffata con MF, le sue iniziali, che diventa però garanzia (per i doriani) di continuità, quando te ne mostra un’altra, lì accanto, sempre blucerchiata, con RF, «Rocco Ferrero, mio figlio di un anno, il futuro presidente della Samp».
Presidente, gradimento, simpatia, scivolate, attacchi, risultati. Tutto in un attimo, Come ha fatto a bruciare così le tappe?
«Passione e grande intuito. Ogni mattina, quando mi sveglio, penso la vita è bella: incontrerò 10 persone, cinque vogliono fregarti e cinque restano fregati. Io cerco di stare nel mezzo e di barcamenarmi al meglio».
Il calcio però non è materia facile.
«Dipende come lo prendi. Io lo vedo come un divertimento e lo vorrei liberare dalla noia che lo pervade. Per questo do sfogo al mio istinto e mi comporto come mi vedete. Tutto spontaneo, niente creato ad arte. Questa è la parte scherzosa, poi c’è il lavoro, una cosa seria, che ha bisogno di testa, cuore e gambe. Per me una società di calcio è un’azienda, che non deve fare finanza, ma impresa, se possibile creare posti di lavoro. Costi, ricavi, investimenti, idee. Io rispetto i calciatori, se sono uomini ci parlo volentieri, cerco di trattarli al meglio, ma l’amore è per la mia società».
Belle parole, facili con i risultati. Ora però c’è la Juve che rischia di chiuderle la bocca.
«Vedremo, non si dimentichi che io ho Sinisa».
Può bastare un bravo allenatore ad arginare l’urto degli invincibili?
«Serve a dare coraggio e voglia d’impresa. Se i giocatori si esprimono come vuole Mihajlovic e con le capacità che hanno, possono dare un dispiacere a tutti, non solo alla Juve. Le spiego l’alchimia: il nostro è un gruppo di talenti, Sinisa ha tirato fuori le loro doti e ciò che mancava, il coraggio. Ora non hanno paura di nessuno. In più sono stati contagiati dal presidente, non un uomo facile, perché vuole vincere sempre».
Poi un giorno gli porteranno via Mihajlovic… «A leggere i giornali lo vogliono tutti, se la ricorda Mina? “Parole, Parole, Parole”. Io sto ai fatti: è un uomo passionale, leale, un grande allenatore che si diverte lavorando molto. A volte si arrabbia, quando le cose non funzionano e fa bene. Finché starà con noi, penserà solo alla Samp. Mi fido della persona, che viene prima di ogni cosa».
Si fida anche dei procuratori? Tutti i suoi gioielli sembrano avere la valigia pronta.
«Il calcio è come quel mare: tanta acqua, poco pesce. Se devo parlare con un procuratore, lo incontro. E se è un uomo vero, il feeling non manca. Non posso svelare nomi o trattative. Però le dico una cosa: se a gennaio ne va via uno (n.d.r.Gabbiadini), magari ne arrivano tre».
Tre per uno è una promessa impegnativa, saranno contenti i tifosi. Del resto lei ha parlato di scudetto sin dal primo giorno.
«Preciso, non quest’anno. Ci proveremo entro il 2018, la stessa scadenza del contratto di Osti appena rinnovato, il nostro eccellente diesse».
Come fa ad avere tutto questo ottimismo?
«Con poco se campa, con niente se more. Se lei parte da questo ragionamento, tutto è possibile. Ora devo imparare, sono appena arrivato. Uno spettatore che guarda il film di 20 squadre e che in questa fase crede che la miglior parola sia quello non detta. Quando sarò entrato appieno nel ruolo e saprò fare il presidente, lo andrò ad insegnare agli altri. Gridando: basta noia, evviva il calcio e il divertimento. Ai miei tifosi lo dico sempre: sono uno di voi. Cresciuto con la gente comune. E con le idee del popolo, che spesso sono le vincenti».
Imparerà anche a non offendere Thohir?
«Ho sbagliato, gli ho scritto una lettera di scuse, è tutto chiarito, non vede l’ora di conoscermi. Non era razzismo, non ho niente contro i filippini. Se avessi detto manda via quel tedesco ci sarebbe stato tutto questo rumore?».
La sua posizione su Tavecchio?
«Sulla gestione del calcio ho idee diverse, però i rapporti sono buoni e si può lavorare insieme. Magari lui convince me. O io lui».
Ce ne dia una davvero nuova, choc… «Il mio calcio libero, via non solo le barriere, ma anche i tornelli. Ho già scritto ad Alfano. Stadio di proprietà o in gestione, con domenica ideale: al mattino prosa per le nonnine, cinema o teatro dal vivo per gli adulti, concerti per i giovani, spazio giochi per i bambini. Pranzo a ristorante per ogni tasca. Poi i mariti restano per la partita, il resto della famiglia se vuole va a fare shopping nei negozi. Con due spicci, una domenica tutta allo stadio. Che tristezza gli spalti vuoti per la Coppa Italia. E quel nostro quartiere, Marassi, blindato a ogni partita, dove gli abitanti non possono uscire di casa, a meno di scavalcare transenne e recinzioni».
Un’idea irrealizzabile…
«Non per Malagò. Sa chi è?».