la Repubblica, 12 dicembre 2014
Ecco perché Berija, il boia di Stalin, non era poi così cattivo. Fu eliminato dai suoi compagni di partito, Krusciov in testa, solo perché considerato un pericoloso riformatore del regime sovietico
Ma era veramente così cattivo? Quello che per anni è stato solo un raffinato e poco pubblicizzato dibattito tra storici, da ieri è un tema alla portata di tutti i cittadini russi. Tutti hanno saputo dai libri di scuola, e da tanti aneddoti popolari, delle nefandezze e delle crudeltà al limite del sadismo commesse da Lavrentij Berija, per anni a capo del famigerato Nkvd (Commissariato del popolo per gli affari interni), e protagonista degli ultimi anni del terrore staliniano. Adesso però Nezavisimaya Gazeta, uno dei giornali più vicini al regime attuale, ha deciso di pubblicare un complesso collage di lettere, documenti, e testimonianze, in gran parte inediti. A leggerle, e limitandosi a queste informazioni, verrebbe spontaneo schierarsi sulla tesi dei pochi storici revisionisti convinti che Berija sia stato un capro espiatorio, eliminato dai suoi compagni di partito, Krusciov in testa, perché considerato un pericoloso riformatore del regime sovietico. Addirittura, azzarda qualcuno, una sorta di Gorbaciov ante litteram. Il giornale non fa alcun commento. Si limita a pubblicare le carte in occasione del 61esimo anniversario della morte di Berija. Ma in un Paese in cui la dietrologia è di casa, tanti pensano che ci sia un tentativo di trasformare in una vittima quello che per anni è stato definito “il boia dello stalinismo”.
Le “nuove” carte risalgono alla primavera del 1953. Stalin è morto il 5 marzo. I dubbi sulla sua fine non sono ancora dissipati. Nelle memorie del ministro degli Esteri, Molotov, sarebbe stato proprio avvelenato da Berija che comunque viene nominato vice primo ministro. Seconda carica per importanza rispetto a quella di Georgij Malenkov, primo ministro. Il futuro leader dell’Urss, Nikita Krusciov, tesse le sue trame da segretario del Partito. Nelle lettere pubblicate ieri il “boia” Berija si rivolge a Malenkov chiedendogli di svuotare le carceri sovietiche. Il 26 marzo scrive: «Tra campi di lavoro e prigioni, ci sono 2.526.402 detenuti. Propongo una amnistia totale». E spiega pure il perché: «La detenzione nei campi, il distacco dal mondo, le privazioni continue, portano alla distruzione delle famiglie e della loro vita». Ma non basta, Berija ammette che molti sono nei detenuti ingiustamente: «La maggioranza è di ottima condotta, ha attitudine al lavoro e può in condurre una vita onesta». E conclude: «La revisione della nostra legge penale è necessaria e urgente. Ogni anno vengono condannate un milione e mezzo di persone. La maggio parte per delitti che non rappresentano un reale pericolo per lo Stato».
Berija sarebbe stato arrestato con un blitz dell’esercito il 23 giugno del 1953, accusato di essere una spia britannica. Prima però ebbe il tempo di un’altra iniziativa che sembra smentire il personaggio sanguinario passato alla Storia. Sempre in una lettera a Malenkov chiedeva infatti di riaprire uno dei casi più sconcertanti di repressione staliniana. Alla fine del 1952 era stata annunciata la scoperta di una organizzazione segreta di medici, in gran parte ebrei, che avrebbero sottoposto i loro pazienti a cure letali allo scopo di seminare il panico nel popolo sovietico. Una provocazione che scatenò arresti in serie di illustri accademici e di medici di ogni rango e fece esplodere un’isteria antisemita di massa. La cosa fu smascherata molto tempo dopo negli anni della destalinizzazione. Ma appunto il primo aprile ‘53, era proprio Berija a denunciare le false accuse: «In seguito alle mie dettagliate verifiche ho stabilito che è stata tutta un’invenzione dell’ex vice ministro Rjumin, compiuta a fini criminosi di carriera. Basandosi su presunti interrogatori non documentati di un professore già defunto in carcere, ha fabbricato la sua versione inesistente». E aggiungeva: «Propongo di riabilitare tutte le vittime della persecuzione e indagare su tutti i responsabili dei servizi segreti colpevoli delle false accuse. Ma anche di cambiare le leggi sovietiche per impedire altri casi del genere in futuro». Non sono parole da “boia”. Ma il dilemma storico resta. Berija scriveva in coscienza o per scaricare le sue responsabilità? Arrestato in giugno, fu ucciso senza processo nonostante le sue implorazioni ai “cari compagni”. Tra le tante versioni sulla sua morte ce n’è una riportata da Indro Montanelli nella quale il futuro leader dell’Urss raccontava, un po’ alticcio, a un esterrefatto Giancarlo Pajetta: «Lo invitammo a una seduta del Comitato Centrale e lo strangolammo con le nostre mani».