la Repubblica, 12 dicembre 2014
«Sei stato rispettato dai Mancuso, lo sai no che sei stato rispettato ? – ricorda a Buzzi Salvatore Ruggiero, persona vicina alle ’ndrine – in quella rete là comandano loro, in questa rete qua comandiamo noi»- Il patto della Cupola con i boss della ’ndrangheta
Do ut des. Quando si tratta di affari, tra clan che si annusano, la pistola lascia spazio alla ragione dell’utile. Ti do qualcosa, mi dai qualcosa. «Sei stato rispettato dai Mancuso, lo sai no che sei stato rispettato ? – ricorda a Buzzi Salvatore Ruggiero, persona vicina alle ‘ndrine – in quella rete là comandano loro, in questa rete qua comandiamo noi». Così, tra Mafia Capitale e le più potenti cosche della ‘ndrangheta, nessuno spara. L’una offre l’opportunità di infiltrare la piazza di Roma, le altre ricambiano proteggendo, da loro stesse, gli investimenti nel Cara di Cropani Marina. Perché esiste un patto. Esiste quella che il Ros definisce «reciprocità». E i patti, tra pari grado, si rispettano.
DUE NUOVI ARRESTI
Quello che i due arresti di ieri documentano, è la storia di un accordo tra la Roma più marcia e la Calabria più pericolosa. Man mano che l’indagine dei pm Cascini, Ielo e Tescaroli va avanti, si fa fatica a considerare Salvatore Buzzi, l’uomo della rete delle cooperative rosse, semplicemente un piccolo imprenditore ambizioso finito in un gioco più grande di lui. In realtà è uno che può scendere a Vibo Valentia per incontrare i reggenti del clan Mancuso, spendendo un nome: quello di Massimo Carminati, l’ex Nar, il boss della capitale.
In manette sono finiti Rocco Rotolo e Salvatore Ruggiero, due calabresi impiegati nella Cooperativa 29 giugno dalla fine degli anni Novanta. Sono accusati di far parte della presunta associazione di stampo mafioso che ruota attorno al Guercio e a Buzzi. Rocco Rotolo di Gioia Tauro, 47 anni, precedenti per rapine e droga, «è il nipote di Peppe Piromalli», dicono gli intercettati. È anche cognato di Salvatore e Santo La Rosa, a suggellare il legame con i padroni mafiosi del porto di Gioia Tauro e dei suoi traffici illeciti. Salvatore Ruggiero, 59 anni, precedenti per omicidio, vicino ai Piromalli e ai Molé. Prima dipendente della “29 Giugno”, poi assunto nel 2009 a Roma Multiservizi quando Franco Panzironi era presidente. Sono questi due malacarne che hanno fatto da garante e da tramite tra Buzzi e i Mancuso. C’era da “mettersi a posto” per la faccenda del Cara di Cropani.
IL FAVORE DI CROPANI
Nelle 71 pagine dell’informativa del Ros dei Carabinieri, cui si appoggia l’ordinanza del gip Flavia Costantini, è ricostruita la genesi, di questo patto. Nell’ottobre del 2008 Buzzi ottiene dal Viminale la gestione per cinque mesi del centro, allestito in emergenza nel villaggio turistico Alemia di Cropani Marittima perché il Cpt di Crotone è al collasso. L’appalto è di 1,3 milioni di euro, la capienza di 240 immigrati per i quali il ministero dell’Interno paga 35 euro al giorno a persona. «Quando stavo a Cropani... parlavo col il prefetto, parlavo con tutti, parlavo con la ‘ndrangheta, e poi risalivo su», ricorda Buzzi, captato dalle cimici del Ros nel luglio scorso. Da quelle parti, nessuno è tranquillo se i Mancuso non vogliono. «Sono il perno che comandano. Io sono andato dai Mancuso per Buzzi Salvatore, io gliel’ho presentato», spiega Rotolo a Ruggiero in un’intercettazione. I Piromalli hanno garantito hanno fatto da garante all’intera operazione. Serviva la protezione per il Cara, e la protezione c’è stata. «Un favore chiesto da Mafia Capitale ai Mancuso», sintetizza il gip Flavia Costantini.
IL PERMESSO DI CARMINATI
Ma al dosegue necessariamente il des. E cinque anni dopo c’è un progetto che ai Mancuso di Limbadi interessa parecchio. La creazione del- la Cooperativa Santo Stefano onlus per la gestione del mercato dell’Esquilino, il cuore multietnico di Roma. La ‘ndrangheta vuole un pezzo della torta cui sta lavorando Buzzi, nell’affare ci deve stare Giovanni Campennì. Imprenditore calabrese (è figlio di Eugenio, cognato di Giuseppe Mancuso, ndr), ha le mani nello smaltimento dei rifiuti del comune di Nicotera. Del resto, è la persona giusta, «è pulito nella legge», ragionano Rotolo e Ruggiero, alludendo alla sua fedina penale. Sarà la testa di ponte per penetrare in silenzio, con la buona reputazione che la “29 giugno” aveva, a Roma. «Lo sai che sei stato rispettato, no? – Ruggiero ricorda a Buzzi il “favore” del Cara – so’ passati 5 anni... t’ha toccato qualcuno là sotto?». Questione di rispetto, a quanto pare. Buzzi è d’accordo, ma una cosa così non la decide lui. Campennì, Buzzi e Carminati si incontrano il 5 febbraio 2014. «Per farlo uscire fuori dalla regione della Calabria – spiega al Guercio – sarebbe la cosa migliore... una piccola cooperativa per gestire quello che facciamo noi su Piazza Vittorio». Ricevendo l’approvazione di Carminati. «Come no, ma scherzi». Un rapporto di reciprocità tra clan mafiosi, dunque. Almeno in apparenza. E il Guercio è il boss romano cui fare riferimento.
IL LITIGIO CON CAMPENNÌ
«Siccome stanno aumentando i pasti, mi ha detto “facci entrare anche la ndrangheta”, spiega Carminati a Paolo Di Ninno, commercialista di Buzzi, il successivo 26 maggio. Perché anche a Limbadi intendano con chi hanno a che fare, Buzzi il 20 aprile del 2013 racconta nel dettaglio a Campennì di come tengano in pugno Riccardo Mancini, ex ad di Eur Spa. Davanti a Rotolo e Ruggiero, Buzzi (che li chiama “la ndrina”) si vanta di conoscere i Fasciani, «è quello che quando ero a Rebibbia stavamo in cella insieme», e Pasquale Multari, pregiudicato con una marea di reati alle spalle. «Multari è amico mio, è... è ancora vivo Pasquale?». Di rimando, Campennì in un’altra occasione racconterà di aver partecipato, attraverso l’imprenditore Giorgio Cassiani, a una gara dell’Ama. «Io sono Cassiani!», dice. Il soggetto piace a uno dei costruttori più importanti di Roma, Berardino Marronaro, che partecipa ad alcuni pranzi. «Marronarò vo’ conosce la ‘ndrangheta», dicono nel gruppo.
L’idea di Buzzi, per la Cooperativa Santo Stefano onlus, è di darla a Campennì, Rotolo e Ruggiero. «Tu sarai il presidente de questa cooperativa de ‘ndranghetisti», dice a uno degli amministratori. Il settanta per cento dei profitti andranno all’uomo dei Mancuso, il resto agli altri. «Se la facessero tra ‘ndranghetisti», commenta Buzzi. Do ut des.