la Repubblica, 12 dicembre 2014
Il drone sotto l’albero. È boom di richieste per i robot volanti. Usati al cinema per le riprese dall’alto, dalla polizia per controllare le manifestazioni, questi aggeggi possono creare non poche complicazioni. Negli Usa ci sono state già 25 collisioni con aerei di linea e le persone temono per la loro privacy
Appesi al cielo di tutti gli incubi e di tutti i sogni, ronzano invisibili e silenziosi sopra le nostre teste ormai migliaia di droni, i robot volanti che tutto sanno, tutto vedono, tutto ascoltano. E che minacciano i fragili voli di noi umani. “The Uav Age”, l’età del Veicolo Aereo Senza Pilota – sanguinosamente inaugurata nella guerra ai fantasmi del terrore in Asia facendo strage «più di civili che di combattenti» (come disse Henry Kissinger) – è cominciata e nessuna legge o norma riuscirà più a fermarla.
Dai modesti 50 euro per acquistare il quadricottero Udi U818 con minicamera digitale ai più sostanziosi mille necessari per l’inquietante Phantom 2 dall’aspetto seriamente fantascientifico fino ai 10mila per i top, chiunque può regalarsi, e molti lo avranno fatto in questo Natale 2014, uno dei 257 modelli di macchina volante controllata anche con semplice smartphone finora autorizzati dall’aviazione civile, la Faa. Sono instancabili angeli a motore capaci di restare in volo, nei modelli più raffinati, anche più di due giorni. Li vendono i negozi per hobbisti, i circoli di appassionati e naturalmente Amazon. com, il suk cibernetico che sta studiando la possibilità di usare proprio droni per recapitare la merce ordinata in poche ore o pochi minuti. Un robot che recapita un robot.
Se i possibili impieghi e le applicazioni di queste nuove tecnologie, che stanno all’aereoplanino radiocomandato di ieri come uno smartphone sta al telefono da muro con la manovella, sono infiniti, anche gli “Uav” scatenano paure in proporzione diretta alla loro diffusione. Diverte l’idea di un gruppo di ragazzi di San Francisco che stanno mettendo a punto una flotta di “Burrito Bomber”, di minibombardieri capaci di recapitare e di lanciare con il paracadute gli involtini messicani sul piatto del cliente e Hollywood sta bussando furiosamente alle porte del Congresso americano e dall’Agenzia Federale per il Volo chiedendo il permesso di usarli come “cineoperatori”. Le sequenze di apertura di Skyfall, l’ultimo James Bond uscito, sono state girate grazie a robot volanti al costo complessivo di 300 dollari. Un decimo degli almeno 3mila che sarebbero costati un elicottero con equipaggio umano.
Come tutte le nuove invenzioni, anche i droni, che possono variare dalle dimensioni di un colibrì a quelle di un’aquila reale con le ali spiegate, il minicottero o il mini aereo, secondo i diversi metodi di propulsione, hanno devoti cultori e altrettanto ferventi detrattori. Ogni nuova tecnologia, dal terrore che il primo falò in una grotta dovette suscitare nei nostri antenati alla certezza ottocentesca che i treni avrebbero asfissiato i passeggeri risucchiando l’aria dai vagoni oltre i 60 chilometri all’ora, suscita invariabilmente preoccupazioni e denunce. I difensori delle libertà costituzionali, già quotidianamente insidiate dall’invadenza delle autorità e delle telecamere fisse nelle strade, vedono in quegli ordigni la piena realizzazione dell’incubo del Grande Fratello.
Uno stormo di droni neppure particolarmente sofisticati, con telecamere ad alta definizione, software per il riconoscimento dei volti, orecchie elettroniche, antenne per clonare i cellulari, può coprire ininterrottamente case e quartieri, captando ogni gemito, ogni parola, ogni gesto da inviare alla Centrale. Nel nome della paranoia preventiva, che considera ogni persona un potenziale pericolo, l’illusione della privacy si frantuma e si avvera il sogno di poter controllare tutti, tutto il tempo, senza quelle rudimentali, rozze e spesso inaffidabili tecniche da “Vite degli Altri”. E senza il costo di materiali e di tecnici e di spie che i vecchi apparati polizieschi dovevano sostenere.
Già 30 dipartimenti di polizia negli Stati americani se ne sono dotati vantando la comodità di poter usare le macchinette volanti per la caccia agli evasi, per seguire le piste dei sospetti senza ricorrere a sirene e autopattuglie ed elicotteri e per il controllo delle manifestazioni dall’alto evitando rumorosi e troppo visibili elicotteri.
I droni possono essere dotati di armi con proiettili di gomma o per diffondere gas lacrimogeni, anche se, per ora, l’impiego di armi letali è riservato ai robot volanti delle forze armate. Gli agricoltori, che negli stati della grandi praterie coltivano estensioni grandi come province italiane, li stanno adottando in massa per sorvegliare i campi e per spruzzare insetticidi o diserbanti a poco costo. Rimpiazzando, di nuovo, i costosi piloti di piccoli aerei che facevano quel lavoro.
Saranno almeno 30mila i droni nei cieli d’America entro i prossimi tre anni per un mercato che si proietta a 89 miliardi nel 2020 ed entro il prossimo anno il Congresso dovrà dimenticare la propria desolante impotenza e la rissosità partitica per produrre una legge che regoli e limiti il loro impiego ora che, dall’hobby o dall’uso da parte di stazioni tv o registi di cinema, sta esplodendo nella vita commerciale. Possibilmente, avvertono i parlamentari che trasmettono le preoccupazioni del pubblico, prima che ci scappi il morto e una catastrofe aerea scuota il pubblico.
Perché se è vero che i robot volanti non hanno la possibilità né l’intenzione di violare le leggi di Asimov sul “Mai nuocere agli umani”, non sono loro a inquietare, ma coloro che li controllano e che, per insipienza, per incoscienza, per gusto della sfida, stanno mettendo in pericolo la sicurezza dell’aviazione civile, quella con esseri umani e non robot a bordo. Le segnalazioni e le denunce di piloti che si vedono improvvisamente spuntare davanti uno di questi oggetti sono ormai centinaia e da brivido.
«What the f.. is this thing?», «che c... è questa cosa?», si sente esclamare il pilota di un jumbo 777 nell’approccio finale all’aeroporto Jfk di New York vedendosi attraversare la visuale da un arnese volante a 100 metri di distanza dall’ala. Sono state 25 le “quasi collisioni” riportate dagli equipaggi soltanto negli ultimi tre mesi, a Dallas, nel Texas, al La Guardia di New York, al National Airport di Washington, a Toronto, a Orlando, a Oklahoma City, spesso costringendoli a brusche manovre di evasione per non essere colpiti. O a sperare nel meglio quando ormai erano in final approach, a pochi metri dal contatto con la pista, quando i margini di manovra sono quasi inesistenti Nessuno di questi droni avrebbe, per peso e dimensioni, la capacità di abbattere un grande jet di linea, ma la preoccupazione dei piloti è il risucchio dei droni nei reattori, come già accade per gli uccelli attorno agli aeroporti a bassa quota, causa di molti incidenti. La Faa ha imposto limiti di altitudine a 150 metri, per i robot, ma gli strumenti per reprimere e controllare il rispetto del limite sono inesistenti e i piloti denunciano incontri con questi Ifo, Identified Flying Object, Oggetti Volanti Identificati, a quote molto superiori.
Metterli al bando è impossibile, perché l’industria del drone ha decollato e l’orizzonte promette miliardi di profitti, non solo negli Usa (i francesi sono tra i più attivi nel produrre modelli costosi e raffinatissimi) e decine di migliaia di posti di lavoro nelle startup che stanno sbocciando ovunque, senza grandi necessità di investimenti, vista la semplicità della tecnologia e il prezzo dei materiali sempre in diminuzione. Dovremo dunque imparare a convivere con i nuovi “angeli del cielo” che tutto vedono e tutto ascoltano. Sperando che anche fra di loro non si alzi l’angelo ribelle che chieda un tributo di vite umane.