il Giornale, 12 dicembre 2014
I tagliagole dell’Isis ora chiedono il riscatto anche per i cadaveri: vogliono 1 milione di dollari per il corpo decapitato di James Foley e offrono di recapitarlo in Turchia con tanto di test del Dna
Quando l’odio per l’«infedele» passa il limite del rispetto per la comune appartenenza al genere umano (il che, per certi esemplari che si dedicano anima e corpo alla «guerra santa», avviene sempre) si raggiunge il punto in cui diventa possibile qualsiasi abiezione ai danni del corpo del nemico: avveniva nel secolo scorso nei campi di concentramento nazisti o comunisti, avviene appunto oggi nel cosiddetto Stato islamico. Allora si poteva trasformare un uomo vivo in uno schiavo utile allo Stato (Gulag sovietici, Laogai cinesi), ottenere da un cadavere del sapone a buon mercato o un «artistico paralume» in pelle umana (Auschwitz): oggi, dopo aver tolto a un uomo la vita con studiata crudeltà davanti a una telecamera, si può cercare di ottenere quanto più denaro possibile dalla promessa della restituzione dei suoi resti mortali.
È quanto starebbe facendo lo Stato Islamico (in sigla Is, o Isis) con il corpo di James Foley, l’ostaggio americano che nello scorso agosto fu il primo a finire brutalmente decapitato per mano di un boia armato di coltellaccio, mentre altri complici immortalavano la scena a fini di propaganda via internet. La cifra richiesta ai familiari o a chiunque fosse disposto a pagare non è modesta: un milione di dollari. Si tratta, visto in termini strettamente economici, di un modo molto cinico di recuperare da un morto quel che non si era riuscito a ottenere quando era vivo: un riscatto. La Casa Bianca ha sempre opposto un chiaro no alle richieste di pagamenti in cambio della vita degli ostaggi americani? Si cerchi di farsi pagare sottobanco dagli inconsolabili parenti in cambio di qualche osso.
A raccontare il sordido business a un sito d’informazione è stato un ex comandante dei ribelli islamici in Siria che svolge il ruolo di intermediario. L’uomo afferma di avere tutti i contatti necessari a far arrivare oltre il confine turco quel che rimane del povero Foley, e si gioca anche un jolly destinato a far evaporare i dubbi dei potenziali clienti: un test del dna per certificare l’autenticità dei resti.
Prima, però, Isis vuole i dollari. Che è un modo assai singolare di far valere una prova tanto costosa. Insomma, prima cacciate il milione, poi manderemo in Turchia la documentazione del test del dna. E a seguire faremo arrivare i resti di James Foley oltrefrontiera. Cinismo puro, in ultima analisi. Aggravato dalla pretesa di questo signore di svolgere il suo ruolo – che immaginiamo assai ben remunerato – per motivi «umanitari». Meno male che un suo «collega», che si compiace di definirsi «manager», ammette senza tanti giri di parole che si tratta soltanto di «un business». Entrambi però sostengono che la persona chiave nei negoziati sarebbe un ufficiale dell’Esercito siriano libero, il gruppo armato anti-Assad sostenuto dall’Occidente, già coinvolto in precedenti trattative su ostaggi americani ed europei nelle mani dell’Isis.
Risulta infine che la fuga di notizie sul tentativo di vendita del cadavere di Foley disturbi i suoi autori, che temono che il governo americano intervenga per bloccare l’affare. Un po’ di discrezione sarebbe gradita.