Corriere della Sera, 12 dicembre 2014
La politica dei doveri di Violante. L’articolo 2 della Costituzione italiana è la formulazione giuridica del fulcro del suo pensiero. Non si vive di soli diritti
Luciano Violante, nel saggio Il dovere di avere doveri (Einaudi, pagine 180, e 12), pur non citando mai Giuseppe Mazzini, si muove sulla base di esigenze che richiamano Mazzini. Cita al contrario, in ultimo, Niccolò Machiavelli sui buoni costumi dei cittadini necessari a una «Repubblica delle leggi». La citazione è pertinente, ma è una citazione, in effetti, letteraria. Il riferimento costante e dominante di Violante è alla contemporaneità, ai problemi del nostro tempo, alla relativa letteratura giuridica, sociologica e pubblicistica.
Ad assumere il dovere come fondamento inderogabile della vita democratica lo porta, infatti, la riflessione imposta dall’esperienza che di tale inderogabilità ha fatto e fa il nostro tempo, e specialmente l’Italia. Perciò l’articolo 2 della Costituzione italiana è per lui la formulazione giuridica del fulcro, in fondo, del suo pensiero: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo» e, però, «richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale». E quindi, pur nel generale riconoscimento del principio democratico, le democrazie del nostro tempo gli appaiono in una fase contraddittoria, e ciò soprattutto per lo squilibrio creatosi fra diritti indiscussi e gridati e doveri omessi o sottaciuti.
Si pone così un problema di «riequilibrio fra diritti e doveri», che per Violante postula la necessità di «ricostruire un ordine costituzionale». A questo solo la politica, il cui primato viene riaffermato, può attendere, senza che ad essa si possa mai sostituire la supplenza di altri poteri pubblici, a cominciare da quello giudiziario, di cui si lamenta l’espansione con la conseguente «politicizzazione della giustizia».
Questo nucleo logico del libro è sviluppato in una serie di argomentazioni riferite a casi e problemi particolari del nostro tempo, che per l’Italia (un rapporto Censis, il giudizio di costituzionalità della legge elettorale, il caso Stamina, i casi di Claudio Martelli e di Roberto Castelli, ordinanze del Consiglio di Stato in materia sanitaria, la legge sulla procreazione assistita etc.) costituiscono una forte attrazione di queste pagine. Ma non sono da meno le pagine su problemi mondiali, come, ad esempio, le «guerre umanitarie».
La concretezza dei casi e dei riferimenti evita ogni astrazione filosofica o moralistica. Si resta sempre, qui, sul terreno di esperienze quotidiane di tutti. Né c’è alcuna pretesa di indicare ricette a colpo sicuro. L’esigenza di contemperare con un’adeguata (e, in effetti, prioritaria) considerazione dei doveri la rivendicazione espansiva e incondizionata dei diritti è fatta scaturire da quella concretezza, ma è prospettata come un problema da affrontare e risolvere della vita politica e sociale, non come una prescrizione perentoria.
Il discorso assume così una pregnanza operativa che fa riflettere chi legge, anche quando sente di non poterne condividere questo o quel punto (come la formulazione dell’«etica repubblicana» o il «problema italiano dell’unità politica»), o anche se c’è chi può restare con l’esigenza, diciamo così, di un timbro più mazziniano. Era, anzi, più che opportuno un discorso dettagliato e deciso come questo specie in Italia, dove la crisi politica sembra essersi avvitata su se stessa anche per deficiente chiarezza sui principii e le regole della vita civile, per una continua confusione e sovrapposizione di poteri, per un diffuso distacco da ogni «etica repubblicana» (e non solo per la ricorrente corruzione).
La difficoltà di riformare un tale Paese è, del resto, così evidente e quotidiana da far davvero desiderare che i problemi posti da Violante figurino in primo piano nella mente e negli atti dei politici italiani.