Corriere della Sera, 12 dicembre 2014
A scaraventare il corpo martoriato di Loris nel canalone è stata una sola persona. Le prove dei pm contro Veronica. Lei si professa ancora innocente: «Signor giudice mi creda, non ho ucciso mio figlio, non sono stata io»
Provata ma determinata, Veronica Panarello nel carcere di Catania non si è sottratta alle domande del gip Claudio Maggioni rispondendo per tre ore, fino a scoppiare in lacrime quando, prima di sparire oltre un cancello, ha implorato: «Signor giudice mi creda, non ho ucciso mio figlio, non sono stata io».
Si è conclusa così, a 48 ore dal suo arrivo nella sezione femminile del carcere, l’udienza di convalida per decidere se lasciare in cella la giovane madre accusata di avere strangolato il bimbo di 8 anni, Loris, come chiede la Procura di Ragusa, o scarcerarla, come invoca il difensore Francesco Villardita, «in assenza di un pericolo di fuga».
Una decisione che Maggioni, rientrato a Ragusa, adotterà entro stasera, dopo aver valutato gli indizi raccolti fra le stradine di Santa Croce Camerina, dove le registrazioni delle telecamere proverebbero come quel drammatico sabato mattina del 29 novembre Veronica non abbia accompagnato Loris a scuola. Ma sia stata con lui in casa durante i 36 minuti cruciali. Durante quella mezz’ora che per i medici legali coincide con l’orario in cui il piccolo è stato strangolato utilizzando delle fascette da elettricista.
Fascette simili a quelle dalla stessa mamma consegnate alle maestre di Loris sostenendo che il bimbo le aveva portate da scuola. Circostanza dubbia perché le maestre hanno negato che si trattasse di materiale da laboratorio scolastico. Altra contraddizione fra tante alle quali Veronica ha risposto ricordando l’incontro: «Le ho consegnate io per dare un contributo all’accertamento della verità informando gli inquirenti».
La posizione resta la stessa ribadita al procuratore di Ragusa Carmelo Petralia e al pm Marco Rota che l’hanno incriminata per omicidio aggravato e occultamento di cadavere. Un rifiuto assoluto di riconoscersi nei fotogrammi di registrazioni sintetizzate ieri in un video di 40 minuti offerto dall’accusa al giudice mentre si continua a indagare e a eseguire perizie. Come è accaduto in serata nei laboratori di Ragusa e della polizia postale di Catania per forbicine, cellulari, tablet e altri oggetti sequestrati in quella casa e nelle abitazioni del pensionato-cacciatore Orazio Fidone.
Resta vaga l’ipotesi di un complice, nonostante la caccia infruttuosa a un secondo telefonino «ben nascosto», come insinua una sorella di Veronica e come lei nega: «Mai avuto un secondo cellulare». Nulla anche sul dubbio che un estraneo sia rimasto quella mattina in casa riaprendo il portone a Loris quando, secondo l’accusa, la madre parte in macchina per la ludoteca solo con il figlio più piccolo. Buio sui 36 minuti.
Ma a scaraventare poi quel corpo martoriato nel canalone del Mulino Vecchio è stata comunque una sola persona della quale la Scientifica avrebbe provato a rilevare le orme. Le stesse che destarono la prima attenzione, il primo allarme del pensionato-cacciatore che in verbali top secret parla di quelle tracce. Ma difficilmente si potrà ormai stabilire se siano compatibili con le scarpe di Veronica, vista la folla di soccorritori, poliziotti, giornalisti, curiosi dopo il ritrovamento. D’altronde nei primi giorni nessuno pensò alla madre come possibile sospetta carnefice del piccolo. Come poi si convinsero i pm descrivendo nel decreto di fermo un complesso quadro psicopatologico.