Corriere della Sera, 12 dicembre 2014
«Non dimenticherò mai di aver visto il mio nome accostato a quello di delinquenti. Sono entrato in politica notevolmente ricco uscendone non dico povero, ma assai meno ricco. E querelo chiunque dica o scriva che io ho favorito la cooperativa 29 Giugno. Nessuno poteva immaginare che Odevaine avesse una doppia vita. Parliamo di persone abilissime nel camuffarsi. Marino? Lasci e si ricandidi». Parla Goffredo Bettini
Al citofono la voce dal finto accento siciliano è scherzosa: «Sono l’onorevole Bettini, quello della cupola; quarto piano». Di persona, però, Goffredo Bettini è molto arrabbiato. «Non dimenticherò mai di aver visto la mia foto al Tg1, il mio nome accostato a quello di delinquenti. Sono entrato in politica notevolmente ricco uscendone non dico povero, ma assai meno ricco. E querelo chiunque dica o scriva che io ho favorito la cooperativa 29 Giugno o qualunque altro soggetto coinvolto nell’inchiesta».
Salvatore Buzzi, il capo della cooperativa, diceva: «Ce manda Goffredo».
«Da me non venne Buzzi ma il suo vice, Carlo Guaranì: uno che assomiglia a Danny De Vito, bassetto, con la cravatta scompigliata. Mi parlò di cinema, di teatro, e di un progetto in Sicilia. Gli dissi che non ne sapevo nulla e di rivolgersi alle persone competenti: se non sbaglio, il “giro” finì in prefettura, pensi un po’. Alla mia segreteria risulta un incontro. Io ne ricordo due».
Quindi li conosceva.
«Certo che li conoscevo. Non era il mio mondo, come loro stessi dicono nelle intercettazioni; ma la cooperativa 29 Giugno è un pezzo della sinistra romana. Sono quelli che hanno aiutato a fare il film dei fratelli Taviani che vinse l’Orso d’oro a Berlino. La fondazione è nata alla presenza di Di Liegro e Laura Ingrao. Furono i primi a occuparsi non di edilizia ma di detenuti, malati psichici, immigrati. Nessuno poteva immaginare che quella fosse solo una faccia della medaglia, e l’altra faccia fosse rivolta verso la criminalità».
Davvero non potevate immaginare?
«No. Qui è diventato impossibile fare politica. Si crocefigge Micaela Campana per un sms in cui chiama Buzzi “capo”; ma sono cose che si fanno, anche se a me non piacciono, era il modo per gratificare un compagno che si riteneva importante. Rivendico che nessuno potesse immaginare, ad esempio, che Odevaine avesse una doppia vita. Parliamo di persone abilissime nel camuffarsi. Odevaine aveva persino cambiato cognome. Si è scoperto perché gli è stato negato il visto per gli Usa a causa di una condanna per droga».
Però il sistema era trasversale. E il Pd non può chiamarsi fuori.
«Le rispondo con quello che scrissi in un libro del 2011, Oltre i partiti : “Non c’è più la forza del leone, ma della volpe, più della furbizia, rimane l’appetito. E la corruzione non si ferma sulla soglia del centrosinistra”. Oggi la crisi della rappresentanza si è aggravata; e non è che ce ne siamo accorti quando l’ha detto la simpatica Madia. Siamo in una situazione peggiore di quella del ’92. Si parla di Roma perché Roma è stata scoperchiata; ma non credo che molte altre città siano meglio».
Sa cosa colpisce di Mafia Capitale? La permeabilità. Il calciatore e il personaggio tv che non chiamano la polizia ma la malavita. La commistione.
«Questa commistione ha date molto chiare. Dopo Mani Pulite e fino al 2008 Roma è stata un modello di buona amministrazione».
Di cui lei era considerato l’uomo forte.
«Io mi sono occupato di amministrazione solo con Rutelli. Poi sono andato all’Auditorium e alla Festa del cinema, continuando a occuparmi di politica. È stata una stagione straordinaria. Abbiamo fatto i grandi lavori del Giubileo senza un avviso di garanzia».
L’età dell’oro?
«Non sorrida. Il modello Roma regge fino alla vittoria di Alemanno, che subito inizia una campagna per distruggerlo. E Alemanno aveva le cambiali di una vita politica da pagare. Non dico fosse ricattato; diciamo che era premuto da personaggi che l’hanno portato al disastro».
Volenterosamente aiutati dalla sinistra.
«È vero. Liquidata una classe dirigente, con me in testa, i nuovi leader locali del Pd hanno avviato in Campidoglio una stagione consociativa, che è diventata un terreno sfruttato dall’affarismo criminale, animato da sopravvissuti all’eversione e alla delinquenza politica degli Anni 70, di destra ma anche di sinistra».
E lei cosa faceva? Allora era il coordinatore nazionale del Pd di Veltroni.
«Chiesi il congresso. Berlusconi aveva vinto le elezioni, ma Walter aveva costruito un partito del 34%: poteva guidare l’opposizione e preparare la rivincita. In direzione erano d’accordo con me Gentiloni e Tonini, lo stesso Bersani era disponibile; gli altri erano contro. Veltroni fu costretto a creare il “caminetto”, a far entrare le correnti, che lo indussero alle dimissioni. Tutto comincia da lì. E io me ne andai all’estero. È ignobile e fa comodo dipingermi come uno che decideva tutto: ho vissuto anni di solitudine totale. Mi occupavo di cinema a Bangkok, Manila, Rangoon e ho scritto libri».
Da dove è tornato per rifilare ai romani Marino.
«Sì. Ma io non ho imposto nessuno. Il sindaco lo doveva fare Nicola Zingaretti, che politicamente considero figlio mio. A settembre però Nicola è venuto a dirmi che non se la sentiva. E io l’ho apprezzato, in un Paese in cui tutti vogliono fare tutto e c’è la fila pure per fare il presidente della Repubblica. Ne parlai con Barca, ma anche lui rifiutò. Allora furono indette le primarie. E io dissi che non bastavano Gentiloni e Sassoli: buoni candidati, che però rischiavano di essere travolti dai grillini».
Le primarie vinte da Marino sono state regolari?
«Non regolari; regolarissime. Quando si muove il voto d’opinione, le primarie non possono essere inquinate. Invece le primarie per designare i parlamentari sono state, almeno a Roma, una farsa. Ogni candidato doveva essere sostenuto da 500 iscritti, nessun iscritto poteva sostenere più di un candidato: era tutto chiaramente deciso prima dai capibastone».
Sta dicendo che i parlamentari romani del Pd sono «abusivi»?
«Sto dicendo che le primarie così non hanno senso. Andrebbero riservate a cariche monocratiche: sindaco, presidente di Regione, premier».
Renzi ha commissariato il Pd romano.
«Ha fatto bene; ma non ha ancora impresso al partito la svolta che sta tentando di imprimere al Paese. Non a caso a Roma la segreteria del Pd ha aiutato la costituzione di una nuova corrente spuria, i neo-dem».
Invece cosa dovrebbe fare?
«Azzerare tutte le tessere. Tutti gli iscritti dovrebbero essere ricontattati. E i nuovi dovrebbero essere ricevuti per due ore dal segretario di sezione: il tempo necessario per capire se uno vuole la tessera per un ideale o perché ha preso dei soldi. Bisogna ridare potere alle persone. E toglierlo alle correnti. È sufficiente non riconoscere più alle correnti rappresentanza nei gruppi dirigenti e nelle istituzioni; ne resteranno pochissime».
Renzi ce la farà?
«Non sono renziano, ma appoggio e ammiro la sua battaglia contro tutte le rendite di posizione. Purtroppo nel Paese si è creata una santa alleanza contro di lui, che mi fa rabbia e mi rende estremamente pessimista. Renzi deve restare al governo se ha i mezzi per produrre il cambiamento che ha promesso. Altrimenti ci conviene andare dritti a votare. E io credo che in questo momento sia meglio andare dritti a votare».
Anche a Roma? Il prefetto dovrebbe sciogliere il Comune?
«Il Comune della capitale italiana sciolto per mafia avrebbe un effetto devastante all’estero».
Quindi Marino deve restare al suo posto?
«Fossi in lui, di fronte a uno stillicidio di notizie che finirebbe per condizionare tutto, sarei io stesso a dimettermi e poi ricandidarmi. Marino stravincerebbe e sarebbe, a quel punto, molto più libero».
Non vorrà dire che Marino è un buon sindaco?
«La stampa ne scriveva come di un deficiente, ora ne scrive come di un santo. In realtà, Marino è uomo di grandi capacità. Ma è un uomo solo. Abbiamo un rapporto di affetto e di rispetto, ma mi ha chiesto raramente consigli, tantomeno per la squadra. Che è debole. A Marino servirebbe quel che aveva Rutelli: 2 o 300 persone – imprenditori, intellettuali, sindacalisti, lavoratori – che portino ogni giorno avanti la sua idea di città».