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 2014  dicembre 12 Venerdì calendario

Basta con gli stereotipi su italiani e tedeschi. Noi inaffidabili e voi arroganti? Non è così

Non credo che sia necessario ricordare continuamente la fragilità del sistema politico italiano e le inadempienze dei suoi governi rispetto alle regole europee. Gli italiani ne sono consapevoli e il loro governo è determinato a porvi rimedio. Non cerca alibi per la riduzione del debito pubblico che notoriamente è uno dei compiti più gravosi da affrontare. Gli italiani non disconoscono neppure le grandi patologie della nazione – dalla diffusa corruzione alla criminalità organizzata ai limiti del sistema giudiziario. Ma sarebbe ingiusto dimenticare contemporaneamente l’enorme impegno profuso dagli uomini e dalle donne fuori e dentro le istituzioni – a cominciare dalla magistratura – per contrastare queste patologie e imprimere al Paese un salto di qualità. Agli osservatori più attenti del Paese non sfugge la tensione che lo sta attraversando, contro la tentazione alla rassegnazione in nome della volontà di ripresa. Siamo grati al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che in armonia con le sue competenze costituzionali ha indicato sempre con fermezza la linea da tenere.
L’estate scorsa, nel giro di pochi giorni su due dei principali quotidiani tedeschi sono usciti due commenti di segno opposto sul nostro Paese: Il tradimento dell’Italia (Faz) e Renaissance dell’Italia (SZ). (Firmati da due giornalisti «esperti di cose italiane» – rispettivamente Tobias Piller e Stefan Ulrich). Se il titolo della SZ bene sintetizzava la fiducia nelle risorse di ripresa dell’Italia, quello della Faz per denunciare il fatto che «l’Italia riceve aiuti immediati contro vaghe promesse e la Germania ha motivo di sentirsi raggirata», usava sorprendentemente il termine pesante di «tradimento». Come se ignorasse la gravità storica di questa espressione che risale ai momenti più traumatici della storia dei due Paesi (intervento italiano del 1915 nella prima guerra mondiale contro le Potenze centrali e la rottura dell’alleanza tra Italia e Germania nazionalsocialista nel 1943).
Questa osservazione ci introduce al capitolo più antipatico e scivoloso dei rapporti italo-tedeschi che non possiamo fare finta di ignorare: la persistenza o la risorgenza dei pregiudizi e stereotipi reciproci tra italiani e tedeschi – sintetizzati nella accusa di «inaffidabilità» o tendenza al «tradimento» italiano da un lato e nella «arroganza» o «prepotenza» tedesca dall’altro. Accanto ad essi ci sono anche giudizi e/o stereotipi positivi. Ne risulta un mix, per cui i tedeschi sono visti dagli italiani come ordinati, scrupolosi, efficienti, seri ma troppo spesso fastidiosamente rigidi e occasionalmente maldestri pedagoghi, in fondo anche prevaricatori. Di contro gli italiani sono percepiti dai tedeschi positivamente come cordiali, simpatici, elastici, di pronta adattabilità, maestri nella gestione del caos, abili nell’arrangiarsi ma opportunisti, male organizzati e in fondo poco attendibili. I tedeschi sono campioni nell’industria in tutti i sensi, gli italiani sono campioni dell’arte nel senso più ampio del termine.
Nella definizione del rapporto tra Italia e Germania un capitolo a parte merita la menzione della cultura. Cultura può avere molti significati e molti contenuti. C’è quello più diffuso, ma non privo di qualche ambiguità, di «bene culturale», che rischia di identificarsi troppo come prodotto di consumo, merce di esportazione o di attrazione turistica. È l’idea di cultura come valorizzazione delle nostre splendide città di arte e di cultura, come appunto le chiamiamo, compresa la visita a Pompei o ai bronzi di Riace o lo straordinario museo egizio di Torino. Sono passaggi obbligati: ma cultura è soprattutto godimento espressivo e intellettuale tramite scambio di esperienze e «forme di vita»; scambio di argomenti, di ragioni e di reciproca conoscenza nel senso in cui si è detto sin qui. Non da ultimo c’è la cultura politica che innerva le strutture e le istituzioni, che guida, motiva e accompagna le scelte politiche sociali ed economiche. Cultura come senso civico o senso dello Stato di cui talvolta lamentiamo la debolezza in Italia e magari ne invidiamo la presenza in Germania.
(...) La promozione di una più corretta comprensione delle interazioni storiche tra Italia e Germania, non solo nel lontano passato, ma anche soprattutto tra Otto e Novecento. Nel periodo della formazione dei due Stati nazionali – da Cavour e Bismarck, all’Italia post-unitaria, alla Triplice Alleanza (Dreibund), uno dei momenti storici di maggiore vicinanza anche culturale tra i due Paesi sino al primo decennio del secolo scorso, guardata ancora a torto con sospetto. Decisivo poi ovviamente è il periodo di intensa cooperazione tra Italia e Germania nell’immediato secondo dopoguerra, in vista della creazione dell’Europa, legato alle due figure ormai mitiche di Adenauer e De Gasperi, ma anche a personalità straordinarie come Altiero Spinelli. È un periodo sempre citato, ma in realtà studiato meno di quanto non meriti se si vuol capire la dinamica di quegli anni cruciali.
È comprensibile infine che la storiografia si concentri con maggiore intensità sull’esperienza negativa dei due regimi totalitari, fascismo e nazionalsocialismo, e quindi sulla lotta contro essi (la Resistenza sia italiana che tedesca). Queste esperienze e la riflessione su di esse non esauriscono la complessità del rapporto storico tra i due Paesi, ma sono fondanti della loro identità contemporanea. A questo proposito vorrei ricordare che l’ultimo incontro dei due Presidenti, che abbiamo l’onore di avere qui tra noi, è avvenuto lo scorso anno in modo toccante e altamente significativo a Sant’ Anna di Stazzema.