il Giornale, 12 dicembre 2014
«Quel crocifisso non è di Donatello, sembra piuttosto l’opera di uno scultore suggestionato da Donatello e attivo qualche decennio dopo la sua partenza da Padova». Vittorio Sgarbi spiega perché
La questione è semplice. Il Crocifisso della chiesa di Santa Maria dei Servi a Padova presentato durante il restauro a Udine sta a Donatello come il Cristo delle polemiche acquistato dallo Stato qualche anno fa sta a Michelangelo. Sono emozioni, entusiasmi di critici d’arte che, invece di occuparsi di opere importanti e documentate di artisti meno noti, si eccitano al grande nome cui sperano di legare il loro. Fu il caso di Giancarlo Gentilini, valoroso studioso dei Della Robbia che fu travolto dal piccolo crocifisso acquistato con l’approvazione di altri suggestionati studiosi. Veniamo al caso di Francesco Caglioti, generalmente prudente e questa volta, in assenza di altre eccitazioni, turbato e anche lui travolto da un altro crocifisso. A redarguire il primo, e gli altri improvvidi sostenitori, fu Tomaso Montanari, che ora tace davanti alla sortita del suo collega di Università (entrambi insegnano alla Università Federico secondo di Napoli). Sono studiosi politicamente corretti e sempre pronti a fare la morale ai non allineati al loro dogmatismo e lobbismo universitario. Staremo a vedere se Montanari si sveglierà.
Intanto osserviamo, ammaccato e disteso come un malato terminale, decolorato e medicato, il Cristo dei Servi, in attesa di essere affiancato ai due potentissimi colleghi, capolavori di Donatello, cui Caglioti ha osato avvicinarlo: il Crocifisso della Basilica di Sant’Antonio da Padova e quello di Santa Croce a Firenze. La storia l’avete letta ieri su questo giornale insieme agli slanci di Elisabetta Francescutti che dirige il restauro. In principio fu Marco Ruffini da Berkeley, italianista prima che storico dell’arte, che trovò un esemplare della prima edizione delle Vite del Vasari (nell’edizione Torrentiniana, del 1550) con una annotazione di epoca imprecisata che aggiungeva, arbitrariamente, alle opere di Donatello ricordate dal grande scrittore «il crucifixo quale è ora in chiesa di Servi di Padoa». E allora? L’unica cosa che si può dire è che la chiosa è sicuramente posteriore al libro del Vasari che a sua volta è pubblicato esattamente cent’anni dopo la documentata presenza di Donatello a Padova (1443-53). Da quello che si vede nelle fotografie il modellato del costato è assolutamente inerte e inespressivo rispetto a quello tormentato del bronzo della Basilica del Santo, quello di Santa Croce in compenso è di altra forma e di altra epoca. La testa dolente ha una somiglianza, emotiva e psicologica, con quella di Donatello al Santo e appare piuttosto sommaria che espressiva. Difficile condividere che essa «sia stata quasi impastata dalle mani di donatello, che pare applicare al legno le tecniche apprese per modellare la creta» come scrive Francesca Ame. Il crocefisso ligneo, meno policromo, sembra piuttosto l’opera di uno scultore suggestionato da Donatello e attivo qualche decennio dopo la sua partenza da padova. Probabilmente a questo si deve la patinatura tarda a finto bronzo per accrescere l’affinità con Donatello.
Ora, nudo, esso appare meno espressivo e vibrante e lo si capirà bene esponendolo a fianco dei due capolavori di Donatello. Adesso agisce una suggestione letteraria senza fondamento e senza documento. Questo dovrebbe imporre prudenza e invece ha determinato uno sproporzionato finanziamento per il restauro da parte del ministero di 80mila euro. Di questo si dovrebbe parlare, per capire se l’impresa è valsa la spesa.