la Repubblica, 12 dicembre 2014
L’operaio della Fiat in pensione che si era comprato un Gauguin al mercato delle pulci per poi scoprire che vale 35 milioni di euro. La Procura di Roma ha stabilito che la tela era stata rubata a Londra e che ora è di proprietà dell’uomo. «Per 40 anni ha fatto da sfondo ai momenti belli della mia famiglia. Vendendolo faremo il viaggio di nozze che mia moglie ha sempre sognato»
«Per 40 anni sono tornato a casa all’alba, dopo il turno di notte alla Fiat: esausto, sprofondavo dentro una poltrona del soggiorno e guardavo il mio bellissimo quadro comprato all’asta degli oggetti smarriti. Chi l’avrebbe detto che era un Gauguin». Sorride beato il signor Nicolò, una vita passata dentro lo stabilimento Mirafiori di Torino, oggi passeggia per le viuzze della sua Siracusa. Da qualche giorno è diventato ufficialmente il proprietario di quel Gauguin che vale 35 milioni di euro. «Mi hanno chiamato i carabinieri da Roma per dirmi che potevo venire a riprendermelo – spiega – ho tutto il diritto di tenere il quadro. E pure un altro, un Bonnard, anche quello comprato all’asta nel 1975, dietro alla stazione Porta Nuova di Torino. Tutti e due, 45 mila lire. Un affare fortunato».
Ha già risistemato il Gauguin in salotto?
«Certo, ma solo per qualche giorno. E con tutta la famiglia ho rivissuto i momenti belli di una vita. Perché quel quadro ha fatto da sfondo ad ogni compleanno, a ogni anniversario, a ogni pranzo di Pasqua e di Natale. Poi, abbiamo deciso di affidare il Gauguin e il Bonnard ad alcuni professionisti che si occupano di custodia delle opere d’arte. Meglio non rischiare. Però i quadri restano a disposizione degli esperti della Soprintendenza di Roma, che li stanno studiando».
Non ha avuto paura a riportare quel tesoro in casa?
«Neanche i vicini se ne sono accorti. Qualcuno è anche entrato in salotto, proprio davanti al Gauguin, ma è passato avanti. La verità è che oggi nessuno guarda più le cose belle».
Però, lei è anche diventato ricco. Che ci farà con quei quadri? Resteranno in un caveau?
«Sono già in corso delle trattative per la vendita del Gauguin. Dopo l’intervista con Repubblica dell’aprile scorso, in cui raccontavo questa incredibile storia, si sono fatti avanti dei collezionisti privati. Sto valutando le offerte insieme alla mia famiglia. Il Bonnard, invece, resterà con noi. Ci siamo particolarmente affezionati. E intanto speriamo che qualcuno ci dia la possibilità di esporre i quadri, perché le cose belle sono di tutti. E tutti devono vederle».
Ha qualche idea su cosa si possa fare con 35 milioni di euro?
«Intanto, il viaggio di nozze che mia moglie ha sempre sognato: da Trieste a Vienna. Poi, mi piacerebbe avviare un’azienda nel settore agroalimentare, perché in questa nostra terra di Sicilia abbiamo tante ricchezze. E io, a 70 anni, sento di avere tutta l’energia necessaria per creare delle opportunità di lavoro. Anche per assicurare un futuro solido ai miei figli. Naturalmente, continuerò a comprare bei quadri».
Si aspettava questo lieto fine?
«Io mi sento un cittadino che ha fatto il suo dovere. Quando mio figlio, studente di architettura, ha cominciato a farsi tante domande su quei quadri ci siamo rivolti a una soprintendenza. Ma ci dissero che non potevano perdere tempo con noi. Allora, abbiamo telefonato ai carabinieri del nucleo tutela patrimonio culturale».
E avete consegnato i quadri?
«Certo, non abbiamo nulla da nascondere. Volevamo capire qualcosa di più di quelle opere».
Avevate messo in conto che potessero essere rubate?
«Era un’ipotesi, che poi si è rivelata fondata. Quei quadri erano stati trafugati a Londra nel 1970, nell’abitazione di una ricca signora, figlia del fondatore dei grandi magazzini “Marks & Spencer”. E non si sa come erano stati abbandonati su un treno proveniente dalla Francia. Da lì i quadri erano poi finiti all’asta degli oggetti smarriti. E io li ho acquistati in perfetta buona fede, così come ha accertato la procura di Roma valutando un mio memoriale in cui ho ricostruito l’intera vicenda».
Cosa ricorda di quella mattina di primavera del 1975?
«Quei quadri li tenevo sotto osservazione da giorni all’asta, nessuno li voleva. E il battitore ripeteva: “Questa è rumenta, spazzatura”. Ma a me piacevano, e pure tanto. Non mi chieda perché. È stata un’intuizione, un colpo di fortuna. O forse niente di tutto questo. Perché l’arte è ciò che ti piace. E mentre tornavo a casa dopo l’asta dicevo fra me e me: non mi importa chi ha dipinto questi quadri, sono bellissimi».