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 2014  dicembre 11 Giovedì calendario

L’arsenale della banda di Carminati finora non è saltata fuori. Eppure per l’accusa la dispobilità di pistole e fucili è una delle prove della «mafiosità» del gruppo

«Un’organizzazione armata, anche per questo temibile e temuta, che ha capacità di rifornirsi di strumenti di morte al più alto livello», affermano i magistrati che indagano sulla presunta associazione mafiosa guidata dall’ex estremista «nero» Massimo Carminati. Ma le armi, per adesso, non sono saltate fuori. Per le difese è un elemento di debolezza dell’accusa, mentre per gli inquirenti è solo l’amara conferma delle troppe voci circolate prima dell’operazione, tra articoli di giornali e «soffiate» agli indagati. Dunque chissà dove hanno nascosto le pistole, s’interrogano ora pubblici ministeri e carabinieri del Ros. Perché di armi parla lo stesso Carminati, soprattutto con Riccardo Brugia (considerato il custode dell’arsenale, se esiste).
Il 23 aprile dello scorso anno, in un bar in cui gli investigatori avevano sistemato telecamera e microspia, il presunto boss di «Mafia capitale» si siede al tavolino con Brugia. Per discutere, scrivono i magistrati, di «occultamento di armi, silenziatori e giubbotti antiproiettile». È in quell’occasione che Carminati parla di una pistola che – nell’interpretazione dei pm – aveva a disposizione. E spiega che se se la portasse dietro, lui sempre così prudente per evitare sorprese in caso di controlli, avrebbe potuto andare incontro a qualche guaio: «Certe volte, quando mi sento aggressivo me la prenderei quella, cioè hai capito, per a nna’ a minaccia’ la gente, dice anvedi questo è matto che gira la cosa».
Brugia, più avanti, parla della possibilità di nascondere le armi in un apposito ripostiglio nel muro o dietro un muro; oppure dentro qualche buca in campagna, anche se «me rode il culoposarla sotto terra». Nello stesso colloquio Carminati esalta le caratteristiche della pistola Makarov calibro 9 silenziata, con la quale «non senti neanche il clack». Dice che ha già speso 25.000 euro per 4 silenziatori e tre Mp5, che secondo il rapporto dei carabinieri è una mitraglietta di fabbricazione tedesca, in genere calibro 9 parabellum. Brugia concorda sull’utilità di utilizzare la Makarov perché «pure se fai una caciaratanon se ne accorge nessuno», e Carminati commenta: «prima che se ne accorgono... cioè... già s’è allargata la macchia di sangue».

Giubbotti antiproiettile
Ma quando si ha a che fare con pistole e mitragliatrici sono necessarie pure le precauzioni. Per esempio i giubbotti antiproiettile. «Ce li dovemo ave’ – dice Brugia – anche perché c’ho sempre avuto la fissa del coso, del povero Danilo»; secondo gli inquirenti è un «ovvio riferimento» a Danilo Abbruciati, uno dei principali esponenti della banda della Magliana che il 27 aprile 1982, in trasferta a Milano, morì colpito da una guardia giurata dopo aver sparato al vicepresidente del banco Ambrosiano Roberto Rosone. Avesse avuto il giubbotto antiproiettile, sembra sostenere Brugia, si sarebbe salvato.
La disponibilità delle armi, anche se non sono state trovate, secondo l’accusa è una delle caratteristiche della «mafiosità» del gruppo criminale. Che però deriva anche da altri indizi, tra i quali la capacità di gestire a tavolino la spartizione e l’assegnazione degli appalti con metodi che normalmente vengono utilizzati da Cosa nostra, camorra e ‘ndrangheta in Sicilia, Campania e Calabria. In alcuni dialoghi registrati dalle «cimici» del Ros Salvatore Buzzi, accusato di essere il «gestore delle attività economiche» di «Mafia Capitale», parla esplicitamente delle necessità di «aprire le buste» con le varie offerte per l’aggiudicazione dei lavori, in modo di avere la possibilità di modificare le proprie offerte e vincere le gare.

«Apriamo le buste»
Il 5 maggio scorso Buzzi commenta insieme alla convivente e collaboratrice Alessandra Garrone (anche lei arrestata) il metodo attivato per ottenere un appalto per la raccolta differenziata dei rifiuti nel comune di Sant’Oreste. «E così usciremo metti 58... – dice l’uomo —, 58 e 50... Questi me li abbassano li portano tutti a 50... e così questi si trovano... e poi tra noi e... se riuscimo a apri’ la busta non ce stanno giochi, ma se non riuscimo a apri’ la busta bisogna rifasse i conti...». La Garrone chiede: «Quindi dobbiamo apri’ la prima busta di lui?». E Buzzi: «Dobbiamo apri’ la busta sua... per vedere quanto ha fatto!».
Per un altro appalto, indetto dal Comune di Roma per la sistemazione del verde, Buzzi parla direttamente con una componente della commissione che deve esaminare le offerte, dipendente del Campidoglio ma pure direttrice di una Fondazione presieduta da Luca Odevaine (finito in carcere per questa indagine). «Solco ha fatto un lavoro bellissimo – gli dice la donna il 13 maggio 2013 parlando dell’offerta di un’altra ditta: la Solco, appunto —. Non la posso eclu... L’abbiamo ammessa alla valutazione». E Buzzi risponde: «Daglie qualche punto in meno, uno solo io perdo». Dopodiché Buzzi chiama direttamente il presidente della Solco e domanda: «Se dovesse anda’ male... ci sono problemi?». E quello: «Assolutamente no». «Non è strategica per te, no?», insiste Buzzi. E l’altro: «No, no (...) Però senti, se vogliamo vederci un attimo, troviamo una soluzione se c’è un problema... (...) Io spero di no, che noi siamo fuori, però se ci fossero dei problemi fammi sapere». Problemi non ce ne sono stati, e l’appalto è andato alla cooperativa di Buzzi.