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 2014  dicembre 11 Giovedì calendario

Dopo aver spostato la sede di Fca, ora Marchionne vuole trasferire anche la Ferrari a Londra. La produzione resterà a Maranello ma la Rossa sarà quotata a New York e forse alla City

Un passaporto inglese per la Ferrari? Dal quartier generale di Fiat Chrysler, in affitto a Londra presso la sede di The Economist, non arriva alcun commento. Mister Sergio Marchionne è a Boston, a convincere i gestori dei fondi Usa a sottoscrivere il nuovo bond Fiat Chrysler (in attesa del prezzo la Borsa ha venduto a mani basse il titolo Fca che ieri ha perso il 6,6%), offerto per un importo complessivo di 2,5 miliardi di dollari (rating B per Standard &Poor’s) ma anche a comprare titoli Fca: 87 milioni di azioni proprie parcheggiate nei conti dell’azienda. In entrambi i casi, ben s’intende, il compratore avrà diritto a ricevere un’azione della casa di Maranello al momento dello “split” del capitale della società dal brand più famoso del mondo, orgoglio del made in Italy.
Ma fino a quando? L’indiscrezione di Bloomberg news, che nessuno si prende la briga di smentire (il che equivale a più di mezza conferma) prevede che Ferrari segua la stessa sorte di Fiat e di Cnh: dopo la decisione di quotare il titolo a New York e in una Borsa europea (facile che sia la City inglese) seguirà lo spostamento della sede fiscale dall’Italia a Londra. A spingere il Cavallino oltre Manica è, al solito, la questione fiscale. Nel Regno Unito, dal 2015, la tassa sulle società si ridurrà dall’attuale 21 al 20% contro il 31,4% chiesto dal fisco italiano. Londra è all’ottavo posto nel mondo per convenienza fiscale per le società, l’Italia figura al numero 56, preceduta da Ungheria e Turchia.
In realtà, però, il distacco è ben maggiore. La legislazione di Sua Maestà prevede un forte sconto sulle tasse per i profitti ricavati dai brevetti delle società domiciliate nel Regno Unito: solo il 10%, una manna per un’azienda come il Cavallino Rampante che è una vera e propria officina di innovazioni. Di fronte a questi numeri, che valgono decine di milioni di minori prelievi (se non di più) è facile che Marchionne e John Elkann si decidano a compiere un nuovo strappo con il Bel Paese. Tutt’altro che indolore perché, come sottolinea il professor Ugo Arrigo, docente di economia pubblica alla Bicocca «l’esodo di un’icona come Ferrari – dichiara – sarebbe un segnale eloquente della mancanza di competitività del sistema fiscale italiano».
Non è difficile immaginare, del resto, che lo “schiaffo” dell’uscita di Ferrari dal perimetro fiscale e societario italiano sarebbe assai più doloroso di quello provocato dall’uscita di Fiat, a suo modo giustificato dalle nozze con Chrysler che hanno senz’altro irrobustito il marchio di Mirafiori. Ferrari è un’altra storia, sia per le condizioni dell’azienda, oggi indebitata a favore dell’azionista di maggioranza, vuoi per la leggenda che associa il Cavallino al meglio del Made in Italy. Infine, non ultimo, non si dimenticano le promesse di Sergio Marchionne: «Ferrari è e resta più italiana che mai» ha tuonato al momento di assumere la carica di Ceo della società. Ma questo, potrebbe aggiungere il manager, vale per i prodotti che continueranno ad essere prodotti nello stabilimento emiliano.
Non cambia nulla, insomma, se gli uffici invece di stare dalle parti della via Emila, stanno sulle rive del Tamigi. Le “Rosse” continueranno ad uscire dalla fabbrica di Maranello così come le Maserati e le nuove Alfa saranno esclusivamente made in Italy, mica per sentimentalismo ma perché lo esige il mercato. Al tempo stesso, come ha più volte ripetuto Marchionne, il mio dovere è di creare valore per gli azionisti. Anche abbassando il tributo fiscale. È assai probabile, poi, che nella nuova struttura societaria, si preveda un bonus per gli azionisti stabili, sulla falsariga di quanto già fatto per Fca e Cnh, consentendo così a Exor, la cassaforte della famiglia Agnelli, di disporre della maggioranza assoluta anche con una quota di poco superiore al 30 per cento.
Insomma, la dinastia non fa sconti: nemmeno a Matteo Renzi, già ospite della nuova Fca in quel di Detroit. Per Marchionne è meglio pagare il 20% a Londra che farsi spennare in Itali.