Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  dicembre 11 Giovedì calendario

Il disastro delle terme che affossano i Comuni. Le 46 società controllate dal pubblico non rendono e nel 2012 hanno registrato perdite per 13,4 milioni di euro. Il caso Salsomaggiore: rosso di 2,4 milioni e nessun rilancio

Altro che relax. Altro che modello di turismo del benessere destagionalizzato e per questo più redditizio. Le Terme, per Comuni e Regioni, sono un’autentica palla al piede. Anche le più famose, come quelle di Salsomaggiore, sono in crisi da profondo rosso e, tra le società partecipate, finiscono con l’essere tra le peggiori: scarsa redditività, liquidità al lumicino, costi per dipendenti e manutenzione, e di conseguenza voragine in cui anno dopo anno Regioni ed Enti locali versano soldi pubblici. Senza ritorno.
IL PANORAMA NAZIONALE
L’entità della crisi del settore emerge già dall’analisi dell’ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli. E dal suo programma di razionalizzazione delle partecipate che il governo Renzi, rispedito lui a Washington, ha messo in stand by. La «Gestione di terme e fonti», così sono catalogate le terme nell’analisi di Cottarelli, conta 46 società partecipate in tutta Italia. Quarantaquattro su 46, quindi in pratica la totalità, sono partecipate dirette o miste. La loro perdita pro quota, riferita al 2012, è pari a 13,4 milioni di euro. Una voragine. Che non si riempie con maggiori ricavi ma solo con l’aumento dell’erogazione di soldi dei contribuenti.
IL RECORD SALSOMAGGIORE
Nella rossa Emilia-Romagna bacchettata tanto da Cottarelli, per le sue 499 società partecipate che la collocano ai vertici della black list italiana, tanto dalla Corte dei conti che nella relazione di parifica di bilancio promuove la Regione per il 2013 ma la boccia per la «non» gestione del problema delle sue partecipate (sono scese solo di tre unità, da 28 a 25) le Terme di Salsomaggiore e Tabiano si collocano in pole position tra le peggiori società partecipate, con un buco – ed è il terzo anno consecutivo che chiudono in rosso – pari a 2 milioni e 428mila euro. Secondo i revisori dei conti, denuncia Forza Italia, la società (la Regione detiene il 23,45 per cento, il resto è del Comune di Salso e della Provincia di Parma) ha perso il 15% di valore patrimoniale e il 30% del valore dei ricavi. La crisi è anche occupazionale visto che, su 221 dipendenti, 81 sono finiti in cassa integrazione.
IL CASO MONTECATINI
Dall’Emilia alla Toscana, la musica non cambia. Anche un altro centro termale per antonomasia, quello di Montecatini, non naviga in buone acque. Interamente di proprietà pubblica (il pacchetto azionario della società è per il 59% della Regione Toscana e per il 40,9% del Comune di Montecatini), sul sito internet appaiono come un’oasi di benessere. In realtà quelle che prosperano sono soprattutto le polemiche. Nel 2011 il bilancio si è chiuso con un segno meno non indifferente, meno 1,6 milioni di euro, nel 2012 con un lieve più di 103.407 euro. Il problema sta nel rilancio, che non arriva. E questo si ripercuote a cascata anche sulle strutture ricettive della zona. Il sogno, costosissimo, è il restyling delle terme Leopoldine, affidato all’archistar Massimiliano Fuksas. Il cantiere è partito nel 2009, i costi sono lievitati nel frattempo da 15 a 29 milioni di euro. Ma i soldi non ci sono. E i lavori sono fermi. A tempo indeterminato. Le Leopoldine, dunque, restano solo un bel sogno, appunto. Ben illustrato sul sito internet. Per ora, sono solo una grande incompiuta.
GLI SPRECHI DI SICILIA
Gli impianti termali sono due, ad Acireale (Catania) e Sciacca (Agrigento), e sono in liquidazione rispettivamente dal 2010 e dal 2011. Ma pur volendosene sbarazzare “mamma Regione” continua ad essere munifica: solo per Acireale (che ha chiuso col segno meno per 2,3 milioni nel 2010; per 2,7 nel 2011; e per 1,7 milioni nel 2012) nel 2011 ha versato 5,1 milioni di ricapitalizzazione. Stesso film, e stessa cifra per Sciacca: 110mila euro nel 2009, 1,7 milioni nel 2010; copertura dei disavanzi con 300mila euro nel 2011 e altri 1,2 milioni nel 2012, «aumenti di capitale per non perdite» da 1,6 milioni nel 2011 e da 190mila euro l’anno successivo. Il tutto a fronte della Caporetto di perdite: 2,2 milioni nel 2010, 2 milioni nel 2011 e 1,9 milioni nel 2012. Ad maiora.