La Stampa, 11 dicembre 2014
Il sessantenne inglese lasciato morire da solo in un ospedale di Sassari in nome della privacy. La famiglia, David Paul, se l’era scelta: amici, colleghi ed ex studenti che con lui avevano condiviso gli oltre trent’anni trascorsi in Sardegna. Ma tutto questo per la legge italiana non conta nulla. Per stare vicino a un malato in fin di vita, e per potergli dare l’ultimo saluto, bisogna avere legami di sangue, o di matrimonio
La famiglia, David Paul, se l’era scelta: amici, colleghi, vicini di casa ed ex studenti che al professore inglese volevano bene come a un fratello, e che con lui avevano condiviso gli oltre trent’anni trascorsi in Sardegna. Una vita. Ma tutto questo per la legge italiana non conta nulla. Per stare vicino a un malato in fin di vita, e per potergli dare l’ultimo saluto, bisogna avere legami di sangue. O di matrimonio. Altrimenti – dicono i codici – si viola la privacy.
Verso l’oblio
Così il sessantenne di origine britannica, insegnante di lingue dell’Università di Sassari, è morto in totale solitudine. Senza che la famiglia adottiva potesse stargli vicina o rendere meno tristi i suoi ultimi giorni, trascorsi in abbandono tra ospedali e centri di riabilitazione. Il volto più brutto della legge si è visto anche dopo la morte di David Paul Bollard. Nessuno dei suoi compagni di vita ha potuto autorizzare la sepoltura e così il corpo del professore è rimasto in una cella frigorifera dell’obitorio di Sassari per quasi due mesi. Il decesso risale al 22 ottobre, ma solo ieri amici e i colleghi gli hanno dato il loro ultimo saluto. Con la famiglia originaria, quella inglese, l’uomo aveva interrotto i rapporti tantissimo tempo fa e per questo è stato necessario scomodare consolati e ambasciate per trovare un fratello che firmasse le pratiche per il funerale e la cremazione. Ottenuta l’autorizzazione, gli studenti e i colleghi hanno fatto colletta e pagato la bara e anche qualche mazzo di fiori.
L’amore per i nuraghi
L’ultimo contatto con David Paul (tifoso del Manchester United e amante dei nuraghi) l’aveva avuto la vicina di casa il giorno in cui il sessantenne era stato colpito da un ictus. Il malore lo aveva sorpreso durante una lezione nella facoltà di Veterinaria e i ragazzi l’avevano soccorso e accompagnato in ospedale. Ma da quel momento nessuno ha avuto la possibilità di andare a trovarlo, né di conoscere le sue condizioni di salute. Tutto si è scoperto quando il peggio era già avvenuto: il sessantenne è stato ricoverato prima all’ospedale Santissima Annunziata di Sassari, poi trasferito in un centro di riabilitazione della provincia. A Thiesi ha trascorso 4 giorni ed è morto. Nessuno ha saputo nulla.
Dimenticato
«Mi è stato detto solo che è morto per alcune complicazioni – racconta la vicina – Medici e infermieri mi hanno sempre ripetuto la parola “privacy” e io non ho potuto sapere niente di più. Successivamente ho ricevuto la visita di due assistenti sociali che mi chiedevano le chiavi di casa di David per entrare a prendere i vestiti. Alle due donne ho detto che le chiavi di casa David le aveva con sé quando è stato caricato in ambulanza. Se ci avessero permesso di aiutarlo forse tutto questo non sarebbe successo». L’umiliazione di una legge insensibile, David Paul l’ha subita anche dopo la morte: per settimane il suo corpo è rimasto in un cella frigorifera dell’obitorio. «La sua famiglia eravamo noi e per questo eravamo tutti disposti a stargli accanto – si sfoga la vicina – Invece l’hanno lasciato morire come l’ultimo degli ultimi».