la Repubblica, 11 dicembre 2014
«La Merkel appoggia Draghi», parola di Lars Feld, uno dei principali consiglieri della Cancelliera tedesca. «Nel 2012 la Bce riportò un po’ di calma sui mercati, anche adesso Francoforte farà la cosa giusta»
Pochi giorni fa a Roma il professor Lars Feld si trovato davanti un vero e proprio “parterre de roi” ad ascoltarlo: tra questi vari ex ministri, industriali di prima grandezza, economisti di vaglia. Non è solo perché la Frankfurter Allgemeine Zeitung l’ha votato «l’economista più influente della Germania», ma soprattutto perché è il membro più in vista dei “Cinque saggi” dell’economia tedesca, ossia i consiglieri più ascoltati dalla cancelliera Angela Merkel.
Professor Feld, Merkel e Juncker dicono che le riforme annunciate da Italia e Francia non bastano. Ma cosa basta?
«Beh, tanto per cominciare bisogna distinguere gli interventi congiunturali dalle riforme strutturali. E per quelle intendo in primo luogo la riforma del lavoro. Pertanto sono prudentemente ottimista circa il varo del Jobs Act: penso che possa avere buoni effetti e che si possa portare appresso ulteriori cambiamenti a lungo termine. Ma il problema oggi è che questi cambiamenti ancora non sono in atto. A Merkel e Juncker io consiglierei di aggiungere: caro collega Renzi, colga questa occasione per andare avanti sulle riforme. Una deregulation del mercato del lavoro è un buon passo. Ma il rischio che vedo è che poi il sistema giuridico possa avere un ruolo troppo grande nella sua applicazione, perché implica una riforma della giustizia sui cui tempi sarei scettico. Per il resto, se uno ha una montagna debitoria così alta come la vostra, per prima cosa deve scendere. Se poi parliamo di crescita, Italia e Francia tendono a pensare in termini di misure che portano solo benefici immediati. Ricordiamoci che l’Italia una debolezza di crescita che è la stessa dal giorno dell’ingresso dell’euro, non basta immettere denaro fresco».
In Germania Draghi viene attaccato quasi ogni giorno...
«Non credo sia giusto attaccare Draghi, ma se si guarda con attenzione, vedrà che neanche il governo tedesco si è mai espresso in termini critici. Bisogna tornare al 2012, quando solo la Bce riuscì a riportare un po’ di calma sui mercati. E a questo aggiungo: anche quello che la Bce fa oggi non è poi così terribilmente espansivo. E poi vediamole, queste “misure non convenzionali” e vediamo che effetti avranno. Se il punto è l’allargamento del bilancio Bce da 2 a 3 mila miliardi, su quello avrei dei dubbi: che fare dopo? Si può solo aspettare e vedere se funzionano? Ma ho fiducia che Draghi alla fine farà la cosa giusta».
Intanto sembra riaprirsi la voragine greca. Non si era già detto che ormai era una “success-story”?
«Certo non lo è un Paese che ha perso un quarto del suo Pil. Ci vuole molto tempo e la strada e ancora lunga. Un’uscita della Grecia dalla Ue sarebbe una catastrofe, ma non è più uno scenario da horror per i partner europei».
Ma le regole dell’austerity ignorano l’aspetto sociale della crisi, l’onda populista è fortissima. Non rischiamo di perdere un intero pezzo d’Europa?
«Mi fa arrabbiare questa forte onda populista, perché copre i problemi reali. Il fatto molto semplicemente è che se avalliamo ulteriori debiti pubblici non facciamo che nutrire la prossima crisi. Ma da quella la Germania sarà colpita molto meno, perché noi oramai abbiamo spostato il grosso dei nostri mercati verso Asia e America. Gli altri europei dovrebbero vedere che la Germania si è dedicata alla visione dell’Unione europea. L’idea di egemonia è lontanissima dal governo tedesco. La Germania vuole solo esserci quando c’è bisogno di lei».