Corriere della Sera, 11 dicembre 2014
Il punto centrale del discorso di Napolitano: tra la degenerazione della politica e la degenerazione nell’antipolitica, quale viene prima? E, soprattutto, qual è oggi «la più grave delle patologie»?
Giorgio Napolitano ha dedicato gli anni della sua presidenza alla difesa della politica democratica. Si capisce dunque che, forse anche cominciando a trarne il bilancio, indichi oggi con toni accorati nell’antipolitica «la più grave delle patologie del nostro vivere civile», e la bolli addirittura come «eversiva».
Non è un fenomeno di questi giorni, e non può essere nemmeno esclusivamente identificato con gli ultimi arrivati come Grillo, che se ne è adombrato, o come Salvini, che lo ha fuso in una miscela esplosiva con l’antieuropei-smo, esplicitamente condannata da Napolitano. E infatti il presidente ricorda correttamente come l’antipolitica alberghi tra noi almeno dal 1992, al punto che essa è stata tra le fondamenta su cui è stata edificata la Seconda Repubblica, una Repubblica senza partiti e contro i partiti, il cui frutto non è stato però una rigenerazione democratica ma la degenerazione di una politica che Napolitano ha definito «senza moralità», predatoria, personalistica, non meno ladra di quella che c’era prima, ma per di più scalabile dai poteri criminali, come i fatti di Roma dimostrano.
È il punto che merita di essere approfondito nell’analisi del presidente: tra la degenerazione della politica e la degenerazione nell’antipolitica, quale viene prima? E, soprattutto, qual è oggi «la più grave delle patologie»? Napolitano mette l’accento sulla seconda; e sui media, rimproverando loro di essere stati corrivi con l’onda antipolitica, così alimentandola. Ci prendiamo il rimbrotto: perfino in fisica è ormai accertato che l’osservatore modifica la realtà anche semplicemente descrivendola. Ma ci sono davanti a noi numerosi esempi in cui l’antipolitica si è affermata da sola, senza aiuti esterni, e per ottime ragioni, al punto tale da sfociare in una reazione squisitamente politica contro la decadenza morale, come è stato evidente nel voto che gli elettori emiliani hanno dato alla loro Regione, non votando. È difficile perciò sfuggire alla sensazione che Grillo e Salvini siano l’effetto, più che la causa, di quella patologia. L’unico sollievo è che finora l’antipolitica si è rivelata meno violenta di quanto non sia stata la violenza politica in anni non troppo lontani. Del resto perfino nei rimedi che la parte migliore del sistema sta cercando a questa grave crisi della rappresentanza si sentono gli echi di un senso comune antipolitico, che oggi chiede più delega e meno partecipazione, meno eletti e più nominati, più uomini soli al comando e meno minoranze fastidiose. Oggi il successo politico ha bisogno dell’antipolitica, al punto che anche per il prossimo inquilino del Quirinale va di moda fare nomi di non politici. L’allarme lanciato ieri da Napolitano avrebbe dunque bisogno di una discussione spietatamente autocritica da molti versanti per produrre gli effetti di rigenerazione che giustamente auspica. Dobbiamo augurarcela con l’ottimismo della volontà.