la Repubblica, 11 dicembre 2014
La scomparsa del televisore. Calano le vendite, dal 2010 tre milioni in meno in Italia. Effetto della crisi ma soprattutto dei nuovi modi di guardare film, serie e sport: ormai il mondo della tv va in onda online
La televisione si è trasformata, adeguandosi ai tempi, restando l’unico simbolo del ‘900 ancora in vita. Ma il suo regno traballa: il televisore, centro del salotto e delle serate familiari, perde colpi. Perché l’oggetto del desiderio di generazioni di italiani non è più così desiderato: se ne vendono sempre meno. E negli ultimi quattro anni il crollo è certificato dai dati. Basta scorrere i numeri di Anitec, la sezione di Confindustria che si occupa di elettrodomestici. Il 2010 è l’anno dello switch off, il passaggio al digitale: si vendono 7,2 milioni di televisori. Nel 2011 si scende a quota a 6,3 milioni. E le previsioni per il 2014 parlano di 4,6 milioni, nonostante l’effetto Mondiali di calcio. Insomma in quattro anni un crollo di 2,6 milioni di televisori su base annua. E tutto questo ha un corrispettivo in denaro: si passa dai 2,4 miliardi di spesa del 2011 all’1,6 stimato per l’anno in corso.
Il futuro è zero tv, come preconizzano gli apocalittici? Certamente no, di televisione se ne consuma tantissima, anche più che in passato, ma i modi del consumo sono cambiati, gli schermi si sono moltiplicati, Internet è diventato un canale non secondario, i contenuti viaggiano sempre più sugli schermi di pc, tablet e smartphone e l’alta definizione chiede televisori più grandi e costosi. «La diminuzione è fisiologica ed è dovuta allo switch off. I consumatori hanno cambiato tutto il loro “parco macchine” e ora i numeri stanno ritornando alla normalità», dice Claudio Lamperti, vicepresidente Anitec. «C’è meno interesse per i piccoli schermi», dice Paolo Locatelli, consumer electronic director di Lg Italia. «I consumatori si rivolgono verso le grandi tv: grazie alle nuove tecnologie, dall’ultra Hd agli schermi Oled, l’incremento delle vendite è costante: il 50% su base annua». La tv “smart” cresce, rappresenta la soluzione per un settore in affanno ma è comunque ancora lontana dal mettere solide radici.
Il calo delle vendite è un fenomeno generalizzato: anche in Inghilterra nell’ultimo anno il segno è negativo, quantificato in 500mila dispositivi venduti in meno. Ma c’è una caratteristica tutta italiana: l’erosione dei prezzi al consumo. Nei paesi europei economicamente più forti il prezzo medio che i consumatori sono disposti a spendere per un televisore è di 500 euro. In Spagna si arriva a 400. In Italia siamo a 350 euro. Meno guadagni per produttori e rivenditori, più possibilità che le multinazionali che dominano il mercato decidano di spostarsi e delocalizzare le filiali italiane. In ogni caso il televisore sembra poter avere nuova vita solo se celebrerà definitivamente le nozze con la rete, spingendoci sempre più verso un consumo solitario. Addio al televisore come “caminetto” moderno davanti al quale si radunano la sera la famiglia e gli amici.
Ernesto Assante e Carmine Saviano
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Per lo scrittore David Foster Wallace, nato nel 1962, la sua è stata la prima generazione per cui il televisore non era qualcosa da guardare bensì qualcosa con cui vivere. La sua scomparsa precoce gli ha impedito di correggere la sua opinione. Quella non è stata la prima generazione, ma l’unica, o quasi.
I dati sono chiari. Il Guardian parla di un calo del volume di vendita pari a 500 mila apparecchi televisivi in meno in un anno, nel Regno Unito. Negli Stati Uniti si calcola che fra dieci giovani che mettono su casa solo due la corredano di televisore. Anche in Italia, nell’anno dei Mondiali di Calcio, classico momento per il rinnovo del televisore famigliare, si prevede per il 2014 un segno meno: 4,6 milioni di televisori venduti, contro i 6,3 del 2011.
Due paradossi. Il primo è che ciò succede proprio quando, e non lo si sperava più, il televisore è potuto diventare un oggetto bello. Era un tabernacolo salottiero bombato davanti e panciuto dietro, su cui si concentravano gli sguardi di tutta la famiglia, silente. Fonte unica di notizie, show, tendenze, incorniciata da un tripudio di centrini e soprammobili vezzosi. Poi ha prodotto figlioletti di dimensioni ridotte, che hanno invaso quasi ogni ambiente della casa, a differenziare programmi e visioni.
Con la tecnologia al plasma il televisore ha perso la sua terza dimensione: è diventato un quadro, una finestra nera appoggiata alla parete, in attesa che il gesto di un pollice umano illumini, animi e colori i suoi pollici, con il caleidoscopio dei pixel.
Il secondo paradosso è che compriamo meno televisori, ma non vediamo affatto meno televisione. Anzi. Possiamo a ogni momento costruirci un palinsesto personale tramite la Rete, raggiungendola con una quantità di dispositivi.
Il vecchio televisore ha il problema di servire solo a quello, e si vede che non sentiamo poi spesso la mancanza della visione collettiva, che pure è stata l’abitudine di tutte le serate casalinghe, almeno in Italia. Scegliamo quello che pensiamo ci piaccia, ce lo vediamo da soli e casomai lo inviamo a qualcuno, nella modalità detta “condivisione”. La vita che passiamo con la Tv si è fatta intima, frammentaria e ubiqua. E, alla fine, il bello della Tv era la diretta. Ora il bello della Tv è diventato la differita.
Stefano Bartezzaghi