la Repubblica, 11 dicembre 2014
Viaggio nel Pd romano dei voti comprati con pasta, buste alimentari o pochi spicci. Pacchetti di tessere acquistate in bianco dai capibastone e restituite compilate, come e da chi però non si sa. Code di extracomunitari ai seggi delle primarie. Pulmini di anziani prelevati dai centri ricreativi
Pacchetti di tessere comprate in bianco dai capibastone e restituite compilate, come e da chi però non si sa. Code di extracomunitari ai seggi delle primarie. Pulmini di anziani prelevati dai centri ricreativi e ricompensati con buste alimentari. Soldi distribuiti fuori dai circoli per incentivare il voto. Congressi finiti a insulti e spintoni, e la polizia che arriva a sirene spiegate.
Benvenuti nel meraviglioso mondo del Pd Roma. L’azionista di maggioranza della giunta Marino commissariato da Matteo Renzi. Ché non fosse stato per il procuratore Pignatone, forse, si sarebbe continuato a chiudere un occhio, anzi tutti e due: sulle iscrizioni gonfiate, i maneggi dei signori delle tessere, l’inquinamento di un partito che di democratico ha soltanto il nome, condizionato com’è dai vari Kim Jong-un di quartiere che a botte da migliaia di euro spostano consensi, ricattano segreterie locali, controllano pezzi di istituzioni. Un gioco borderline, di certo pericoloso. Ormai smascherato dalle inchieste giudiziarie. Minacciava «li rovino tutti» l’onorevole Marco Di Stefano, che intercettato rivelava: «Ho fatto le primarie con gli imbrogli». Elezione, stavolta per il segretario cittadino, che attira pure l’interesse della mafia capitale. «Come state messi?», chiedeva il boss Carminati a Salvatore Buzzi, il suo braccio imprenditoriale: «Stiamo a sostene’ tutti e due», la risposta del ras delle cooperative, «avemo dato 140 voti a Giuntella e 80 a Cosentino. Cosentino è proprio amico nostro».
Neppure il drammatico appello lanciato un anno e mezzo fa dall’allora deputata Marianna Madia era servito a far suonare l’allarme. «Nel Pd a livello locale, e parlo di Roma, facendo le primarie dei parlamentari ho visto, non ho paura a dirlo, delle vere e proprie associazioni a delinquere sul territorio»: era il giugno 2013, e per quelle parole l’attuale ministro rischiò quasi di essere linciata. Sebbene già due mesi prima la renziana Cristiana Alicata denunciò «le file di rom ai gazebo dem» e «voti comprati» per l’elezione del candidato sindaco, che poi risultò Ignazio Marino. Manovre spesso oliate da un vorticoso giro di soldi. Racconta Andrea Sgrulletti, fino all’anno scorso segretario pd nella zona di Tor Bella Monaca: «Nell’aprile 2013, alle primarie organizzate in vista delle amministrative, il nostro municipio è stato l’unico dove hanno votato più persone rispetto alle primarie 2012 Bersani-Renzi. In alcuni seggi l’affluenza è raddoppiata, in altri triplicata. “Merito” di una campagna alimentata da un’enorme quantità di danaro dall’aspirante presidente del VI municipio, Marco Scipioni, e denunciata sia al partito romano, sia alla commissione di garanzia». Una propaganda a base di «pacchi alimentari e buste della spesa distribuite alle persone che venivano a votare per lui. A volte ha pure regalato piccole somme. Il che, in un contesto molto povero come il nostro, fa la differenza», insiste Sgrulletti, rivelando come «quelle contropartite abbiano pure convinto alcune comunità straniere locali a partecipare in massa». Tutti episodi che «sono stati però ignorati dal Pd cittadino, che ha convalidato quel voto e non ha mai preso provvedimenti disciplinari, anzi», sospira sconsolato Sgrulletti: «Noi che abbiamo denunciato siamo finiti sul banco degli imputati e io stesso ho rischiato l’espulsione dal Pd».
Un serial, più che un film. Stesse scene si sono ripetute, sei mesi più tardi, al congresso (aperto solo agli iscritti) per il segretario provinciale e ancora dopo alle primarie per quello regionale. Anche qui, pur con le debite proporzioni, «truppe cammellate si sono mosse per inquinare il voto», racconta Fabrizio Mossino, già responsabile della sezione Portuense- Villini, rivelando le tecniche per gonfiare le iscrizioni: «Se un circolo ha bisogno di soldi perché non riesce più a pagare l’affitto o ha un segretario con una forte appartenenza di corrente, può succedere che il capo-bastone di turno arrivi, chieda un pacchetto di tessere, anche 50-60, pagandole in contanti 20 euro a pezzo, e poi le restituisca compilate». Esattamente quanto accaduto a ottobre di un anno fa, nella sfida per la leadership romana, con circoli che in pochi giorni sono cresciuti del 200%. Tor Bella Monaca per tutti: passato da 170 a 430 tesserati.
Non è allora un caso se, appena eletto, Lionello Cosentino abbia deciso di cambiare le regole e ripetere il congresso che pure lo aveva incoronato segretario. Risultato? «Dai circa 16mila iscritti a Roma nel 2013 oggi siamo scesi a 9mila», dice l’ex responsabile organizzazione Giulio Pelonzi. Il 40% in meno. È bastato esigere che ogni singola tessera fosse richiesta per iscritto e abbinata a un nome e un cognome preciso. «Come per magia i pacchetti sono spariti, chi oggi sta nel Pd Roma è gente vera», giura Cosentino. Ormai azzerato.