Il Sole 24 Ore, 11 dicembre 2014
L’incredibile contrabbando internazionale di petrolio: anche l’Italia compra greggio sospetto dal Ghana. Le petroliere che navigano per il mondo arrivano per lo più da Iran e Nigeria. Dietro a questo commercio illegale ci sarebbero anche i terroristi dell’Isis
Il rallentamento dell’economia mondiale e l’aumento della produzione petrolifera negli Stati Uniti stanno facendo crollare i prezzi del petrolio. Ma a contribuire alla pressione al ribasso sono anche i grandi quantitativi di greggio di dubbia origine offerti sul mercato a prezzi da grandi saldi. Che da un’inchiesta de Il Sole 24 Ore risultano essere comprati e trattati anche in Italia.
Ultimamente si è parlato molto del petrolio messo in commercio dai terroristi del cosiddetto Stato Islamico.
Con il denaro delle estorsioni e dei riscatti sui rapimenti, secondo i servizi di intelligence occidentali la principale fonte di reddito per gli islamisti è data dalla vendite di petrolio prodotto nelle zone da loro controllate. Secondo Amos Hochstein, inviato speciale del Dipartimento di Stato, lo Stato islamico contrabbanda circa 50.000 barili di greggio al giorno, con entrate quotidiane pari a circa un milione di dollari. Il gruppo di esperti nominati dal segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon ha invece stimato i profitti petroliferi dell’Is tra gli 846mila e il milione e 600mila dollari al giorno.
Ma quello degli islamisti è solo una goccia nel mare di greggio che naviga per il mondo proveniente da Iran e Nigeria. Seppure le sanzioni americane ed europee abbiano drammaticamente ridotto il mercato del petrolio venduto da Teheran, l’Iran continua a pompare oltre 2,5 milioni di barili al giorno. Troppi per essere interamente assorbiti dalla Cina, il suo principale acquirente. «Gli iraniani annegano nel petrolio e non sanno dove metterlo», dice a Il Sole 24 Ore un trader internazionale. Risultato: per aggirare le sanzioni, il greggio di Teheran viene messo in vendita, «riveduto e corretto», dopo essere stato mescolato con petrolio di origine diversa che ne maschera l’origine (almeno formalmente, perché le analisi ne farebbero emergere la provenienza).
All’iraniano si aggiunge il petrolio del cosiddetto “bunkering” nigeriano, un fenomeno particolare di quel Paese. Secondo un ex funzionario della Banca Mondiale, dal 1960, anno dell’indipendenza, a oggi la Nigeria ha perso quasi 500 miliardi di dollari a causa del bunkering, che in pratica è la sottrazione di greggio degli oleodotti attraverso il dirottamento clandestino del loro flusso. Il presidente nigeriano Goodluck Jonathan ha calcolato che circa 300mila barili al giorno vengono persi ogni giorno, pari al 10% dell’intera produzione nazionale. Con un danno quantificato in almeno 7 miliardi di dollari al mese.
Soltanto dall’oleodotto che Eni condivide con la Shell, a Il Sole 24 Ore risulta che il contrabbando sottrae oltre 20mila barili al giorno. Una parte finisce sversata nei fiume Niger, un’altra nelle raffinerie illegali locali e il resto è venduto sul mercato internazionale.
Secondo un addetto ai lavori consultato dal nostro giornale il fenomeno potrebbe essere fortemente ridimensionato attraverso un severo pattugliamento del delta del Niger, dove passano le imbarcazioni che portano offshore il greggio rubato dagli oleodotti. Ma questo non è stato mai fatto. Motivo: la Nigeria e il delta del Niger sono realtà complicate, dove povertà, lotte tribali e terrorismo costituiscono una miscela esplosiva. E né le società petrolifere né il governo se la sentono di alterare l’equilibrio creato dal bunkering, che di fatto è una via di mezzo tra un esproprio e una camera di compensazione tribale. Il problema è che molti sospettano possa anche essere una fonte di finanziamento del terrorismo islamista nigeriano.
Ma dove finisce questo mare di greggio visto che compagnie petrolifere, raffinerie, trader e canali convenzionali ne stanno alla larga? Secondo la giornalista ed esperta del settore Cristina Katsouris è nata una rete informale composta da operatori alternativi che include armatori, banchieri e professionisti estranei al settore che in un modo o nell’altro gestiscono la compravendita. A prezzi ovviamente molto scontati. «Per il greggio da bunkering nigeriano abbiamo sentito parlare di intermediari cinesi e di banche libanesi che lo trattano», dice Katsouris, autrice del rapporto Il crudo illegale nigeriano: le opzioni per combattere l’esportazione di petrolio rubato.
Ma tracce della compravendita di questo petrolio si trovano anche in Italia. L’agosto scorso il Wall Street Journal ha rivelato che tra l’agosto 2013 e il febbraio scorso al Porto Petroli di Genova sono arrivate tre petroliere con un carico totale di 473mila barili di un blend ufficialmente registrato come “Saltpond”. Come ha spiegato il quotidiano economico newyorkese, Saltpond è una piattaforma offshore a largo del Ghana che da anni produce pochissimo e che le autorità italiane stanno investigando perché sospettata di offrire un’“etichetta” ghaniana al greggio nigeriano di bunkering.
Dopo aver individuato l’acquirente di quei tre carichi nella Iplom, la società che opera la raffineria di Busalla, tra Genova e Milano, il Wall Street Journal ha intervistato il suo presidente Giorgio Profumo, che ha confermato di aver acquistato quei carichi.
Il Sole 24 Ore ha invece appurato che dagli archivi del Porto Petroli di Genova alla Iplom risultano essere arrivati non tre bensì cinque carichi per un totale di 100mila tonnellate di “Saltpond blend”. Cosa peraltro confermataci dallo stesso ingegner Profumo, che ha tenuto a spiegare: «Ci è stato consegnato come prodotto di origine ghanese con certificato doganale dall’autorità del Ghana».
Ma ci sono due anomalie. La prima è che la piattaforma al largo del Ghana produce pochissimo, come ha ammesso lo stesso Profumo – «il pozzo produce poco». Secondo il sito della piattaforma si parla di circa 600 barili al giorno. Quindi le 100mila tonnellate comprate da Iplom tra il 2013 e il 2014 supererebbero del 50% l’intera capacità produttiva di quei due anni. Insomma, dai calcoli risulta impossibile che il greggio comprato da Iplom sia stato tutto Saltpond.
Ma c’è anche un’altra anomalia: le petroliere usate – in ordine cronologico, la Cielo di Parigi, la Axelotl, la Freja Polaris, la Chemtrans Riga e la Mare Action – erano navette la cui stazza oscilla tra le 35 e le 45mila tonnellate. E i singoli carichi di greggio erano ancora più modesti. Quello arrivato il 30 marzo scorso a bordo della Chemtrans Riga era di appena 18mila tonnellate, mentre quello sulla Cielo di Parigi meno di 12mila.
«Non è nella norma fare carichi così piccoli. Soprattutto da un posto lontano come il Ghana. Ricordo carichi relativamente piccoli, ma mai meno di 50/60mila tonnellate», ci dice un ex dirigente Iplom. Oltre che insoliti, quei carichi erano anche anti-economici. Perché il noleggio di petroliere così piccole ha costi molto alti.
«Sono lotti assolutamente anti-economici. A meno che il prezzo del petrolio non sia ultra-scontato. Magari perché nigeriano di bunkering», dice un noleggiatore da noi consultato.
Abbiamo dunque chiesto al suo presidente come potesse avere senso economico per Iplom noleggiare petroliere così piccole per una tratta così lunga. Ma su questo Profumo non ci ha risposto. Anzi, dopo aver insistito nel dire che quello da lui acquisito non era greggio nigeriano, ci ha annunciato che sta «cercando di comprare un altro carico di Saltpond». Spiegando così questa scelta: «È nostro preciso dovere comprare le materie prime che consentano la massima competitività alla raffineria».
E il rischio di comprare in realtà greggio nigeriano di bunkering finanziando contrabbandieri? «Per maggior precauzione abbiamo chiesto di specificare meglio la provenienza dal Ghana (…) e (di avere) una maggiore garanzia istituzionale. Questo è il massimo che possiamo fare in qualità di acquirenti per garantirci sull’operato del venditore».
Iplom a parte, a Il Sole 24 Ore risulta che da qualche tempo a Milano sia emersa una pletora di professionisti estranei al mondo del petrolio che si occupano di greggio. Tra questi risulta esserci il commercialista Paolo Baccarini. Lo abbiamo dunque chiamato per chiedergli come mai uno stimato commercialista di San Babila si è messo nel business dell’oro nero. Ci ha spiegato di non occuparsene direttamente bensì per conto di un cliente. Quando gli abbiamo chiesto dei suoi rapporti con iraniani, ci ha detto di averne avuti «con società inglesi, società turche e del Kuwait ma non in Iran». Abbiamo insistito dicendo che ci risulta che abbia discusso di un carico di greggio gestito da un iraniano. «Se ho avuto un contatto è di un mio cliente, non mio.. Io faccio il commercialista… Grazie. Buonasera».
Meno brusco di lui Massimo Piccinelli, un ex carabiniere amico dell’ex-consigliere regionale e genero del faccendiere Pierangelo Daccò Massimo Buscemi, anche lui entrato nel settore dell’intermediazione di prodotti petroliferi.
Gli abbiamo detto di aver saputo di incontri in cui ha discusso di petrolio in presenza dell’ex consigliere regionale. «Massimo Buscemi lo conosco, siamo amici… ma di queste cose non so niente. Io faccio da intermediario per discorsi petroliferi… però lo faccio io». Quando abbiamo insistito facendo riferimento a riunioni avute con Buscemi e altri, Piccinelli ha spiegato: «Ci sono state… non delle riunioni… Dato che io ero insieme a loro, forse parlavo con delle persone e gliele ho fatte conoscere… ma loro non trattano queste cose».
Ci siamo poi rivolti allo stesso Buscemi, dicendogli che a Milano si parla di un suo interessamento a carichi petroliferi assieme a Piccinelli. «Mi sembra strano che si dica questo», ci dice. «Il signor Piccinelli lo conosco da vecchia data, ma per altri motivi. Non so neppure se si occupa di petrolio… Curiosa questa cosa». Gli abbiamo chiesto se ha mai partecipato a riunioni in cui si è discusso di petrolio. E la risposta è stata categorica: «Lei non è un magistrato. Le dico che non mi occupo di petrolio. E questo le deve bastare».
Chi invece non ha negato di trattare greggio iraniano è Stefano Castro, di Kiros Srl, che ha confermato di essersi interessato di «carichi venduti in Albania». È interessante notare che nel maggio scorso un rapporto dell’Agenzia internazionale per l’energia aveva rivelato che una petroliera iraniana aveva fatto tappa nel paese balcanico con un carico di greggio iraniano.
«La petroliera Swallow, di proprietà di National Iranian Tanker Co, ha riportato l’Albania come destinazione, ma era in transito e alla fine il petrolio è stato scaricato in Turchia», ha dichiarato la portavoce dell’Agenzia. Perché mai un carico di greggio iraniano faccia tappa in Albania per poi essere scaricato in Turchia non è stato spiegato. Ma il sospetto degli addetti ai lavori è che la petroliera abbia a lungo girato per il Mediterraneo alla ricerca di un acquirente.
A Il Sole 24 Ore risulta che a giugno Castro abbia offerto alla Iplom la propria mediazione con la società iraniana Apec Co. Ma invano. Perché, ci ha spiegato Giorgio Profumo, «per policy aziendale, tutte le offerte/proposte di greggio iraniano vengono cestinate in ottemperanza all’embargo».