La Stampa, 10 dicembre 2014
A grande richiesta torna il biglietto di auguri di Natale. Tutti si sono messi alla ricerca del bon mot, battuta, frase spiritosa, o, a seconda degli umori, del messaggio impegnativo, intellettualmente ricco, saggio o folle, ma sempre con lo scopo di far colpo. Tutto pur di lasciare un segno
Ci sono almeno due motivi per cui ha ripreso quota il biglietto d’auguri per Natale, sino a diventare indispensabile per la sua forma e aspetto, più importante, o quasi, del dono stesso. Primo motivo. Grazie a Internet, ai social network, a Facebook e Twitter, la scrittura ha avuto la sua rivincita. Tutti hanno ricominciato, o cominciato in molti casi, a scrivere, anche se spesso si tratta di brevi pensieri, citazioni, riprese d’autore. Questo è sufficiente a spingere le persone a personalizzare il cartoncino colorato, con cui si accompagna il regalo. La ricerca del bon mot, battuta, frase spiritosa, o, a seconda degli umori, del messaggio impegnativo, intellettualmente ricco, saggio o folle, ma sempre con lo scopo di far colpo, impressionare, lasciare un segno. La politica della comunicazione nei social ha sviluppato risorse che giacevano inespresse, come se tutti avessero seguito un corso intensivo alla Holden o uno dei tanti seminari di storytelling in giro per l’Italia. Il narcisismo di massa, che ha connotato i due ultimi decenni, s’accompagna all’insopprimibile esigenza di comunicare se stessi in ogni occasione e modo con le parole.
Il secondo motivo è anch’esso legato alla diffusione dei new media, ma in forma rovesciata. Se il linguaggio si è avvantaggiato dalla smaterializzazione del mondo, divenendo lo strumento principe della comunicazione, al polo opposto cominciano ad acquisire, per contrasto, valore sempre maggiore gli oggetti. Le cose che rappresentano la materialità dell’esistenza hanno ripreso importanza. Non che i gadget avessero perso spazio nella vita individuale e collettiva, anzi; tuttavia la smaterializzazione del mondo restituisce di converso importanza alle cose medesime, ai manufatti, agli oggetti, anche minimi. Le cose si personalizzano, per questo si trasferisce nel mondo materiale quella forza comunicativa che il linguaggio ha suscitato come una potenza quasi incontrollabile. Il cartoncino d’auguri personalizzato, realizzato a volte a mano dai mittenti stessi, o acquistato in appositi negozi, diventa il messaggio stesso. Alla McLuhan: «il medium è il messaggio» (e persino, nella versione autoironica: «il medium è il massaggio»). Il medium è un Pop-up che riapre d’incanto le porte dell’infanzia, o un messaggio prodotto a mano ricorrendo a forbici, tessuti, ago, filo e persino uncinetto. I regali di Natale, come si sa, e come documenta la storia del Grinch del Dr. Seuss, si caricano di una forza misteriosa, che prescinde sovente dal valore del regalo medesimo. Ora grazie al messaggio-gadget la carica animistica si è trasferita sull’intenzione stessa, di cui il messaggio è la forma. Un effetto, consapevole o no, della crisi: l’intenzione è superiore al dono. Conta l’affetto, che è poi un effetto.