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 2014  dicembre 10 Mercoledì calendario

Quei fiumi di parole dalle trincee della Grande Guerra. Quattro miliardi di lettere in Italia, 30 miliardi in Germania. In una nuova antologia edita da Donzelli una scelta di missive e diari dei nostri connazionali schierati sui due fronti opposti

La Grande Guerra segna, rispetto ai conflitti precedenti, un’impressionante escalation nell’imporsi dei mezzi di sterminio di massa – dalle mitragliatrici all’uso dei gas – ma produce anche un vertiginoso moltiplicarsi delle parole: quelle affidate a lettere e cartoline con cui i combattenti dalle trincee raccontano – spesso sfidando i censori in divisa – la guerra atroce che devono affrontare.

Durante il conflitto, la posta militare austriaca vaglia e smista quotidianamente quasi mezzo milione di lettere. Il servizio postale francese di lettere ne movimenta ben di più: 4 milioni al giorno che, a conclusione delle ostilità, fanno un totale di oltre 10 miliardi di messaggi. La Germania, più alfabetizzata, ha un flusso epistolare ancora più imponente, 30 miliardi di missive, mentre lo scambio di lettere da e per le trincee dell’Italia, entrata in guerra un anno dopo rispetto agli altri Paesi, apparentemente è più modesto: circa 4 miliardi tra lettere e cartoline postali. 
Italiani in eserciti nemici
In realtà quei 4 miliardi di messaggi, suddivisi su una popolazione di 39 milioni di abitanti (di cui il 38% di analfabeti), assegnano a ogni italiano, dal maggio del 1915 al novembre del 1918, una media di 102 missive.
Da questa massa enorme sono state tratte in passato diverse antologie (a cominciare da quella, in chiave ovviamente propagandistica, curata dall’interventista Prezzolini, uscita nel 1918), ma Storia intima della Grande Guerra. Lettere, diari e memorie dei soldati del fronte si differenzia da tutte, anche da quelle più recenti. Curata da Quinto Antonelli e in uscita per Donzelli (con allegato un dvd del film di Enrico Verra Scemi di guerra, dedicato ai 40.000 soldati che, resi folli dai combattimenti, finirono in manicomio), l’opera attinge alle migliaia di lettere raccolte dall’Archivio della scrittura popolare presso il Museo storico del Trentino. Sua principale connotazione è che scavalca le frontiere. Infatti affianca voci e testimonianze di combattenti che, pur scrivendo tutti in italiano (il più delle volte fortemente influenzato dal dialetto), combattono in eserciti nemici. 
Le lettere sono quelle inviate sia da giovani trentini e goriziani inquadrati nell’imperial-regio esercito asburgico sia da soldati arruolati lungo la penisola dal regio esercito di Vittorio Emanuele III. Gli accenti sono diversi e i campi di battaglia a volte lontani (spesso i trentini arruolati da Vienna sono schierati contro i russi, in Bucovina) ma la vita in trincea, l’angoscia degli assalti, la convivenza quotidiana con la morte e la sfida per sopravvivere in ambienti ostili costituisce il cuore di ogni lettera.
Le missive e le memorie sono assemblate in modo da ricostruire lo spazio del campo di battaglia, dalle retrovie agli avamposti più letali «dove tanto di notte che di giorno sopra la nostra testa», come scrive il bracciante di Borgo San Lorenzo Angelo Venturi che morirà in un assalto sul Podgora di lì a tre mesi, «passano fischiando proiettili di grosso e piccolo calibro». Lì, per ripararsi dal fuoco nemico, «non avendo tempo di fare la trincea ci nascondiamo», scrive il contadino Primo Farabegoli, di Formignano, «didietro ai cadaveri mettendoli uno sopra l’altro». E poi, quasi parlando di un altro mondo lasciato alle spalle, chiede al padre «se l’erba medica si è fatta bella e il formentone è venuto bene».
Mentre la Storia intima esplora lo spazio bellico del conflitto, il recentissimoViaggio nella terra dei morti. La vita dei soldati nelle trincee della Grande Guerra di Marco Scardigli (Utet, pp. 415, € 18) affronta il tema scegliendo come bussola la dimensione del tempo: ci fa conoscere, con attenzione minuziosa ai dettagli e attingendo a un’imponente quantità di fonti, lo scorrere della giornata in trincea, seguendo quasi attimo per attimo ogni gesto e abitudine di quei soldati.
Un mondo alla rovescia
Emerge così quel mondo alla rovescia – la morte come orizzonte quotidiano, i budelli delle trincee come tane di un popolo sotterrato, l’immobilità del giorno che si rompe appena cade il buio – che segna la frattura definitiva col passato e accompagna i primi passi di una nuova epoca in arrivo, alienata e devastante.
In entrambi i libri l’esperienza vissuta dai combattenti sfocia in ricostruzioni valide, forti e coinvolgenti. Tuttavia è come se, nonostante la profondità del lavoro storiografico svolto da questi autori e da schiere di altri validissimi ricercatori, una soglia insuperabile permanesse e si frapponesse a una piena comprensione del mondo sconvolto, eppure così reale, delle trincee. La radicale frattura rappresentata dalla Grande Guerra forse può essere pienamente intesa e trovare la sua voce essenziale solo attraverso l’intuizione e la creazione artistica. Ricorrendo dunque a uno sguardo poetico che, sfidando l’opaco trascorrere del tempo, sa scrutare, come ha fatto Ermanno Olmi nel suo Torneranno i prati, l’attonito orrore che giunge ancora oggi da quei campi di battaglia. 
Infatti sulle trincee di quella guerra, che mentre veniva combattuta non era ancora né Grande né Mondiale, grava tuttora il buio di una notte interminabile. Proprio come la notte, bianca di neve e ghiacciata dall’angoscia dell’attacco imminente, che Olmi sa mostrarci negli ottanta indimenticabili minuti del suo film.