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 2014  dicembre 10 Mercoledì calendario

E ora le aziende si danno al baratto. Miliardi di euro in circolo, neanche un centesimo in cassa o sul conto corrente. Un paradosso? No: è il meccanismo del corporate barter, che rimpiazza i pagamenti in denaro con un sistema di compravendita in compensazione

Miliardi di euro in circolo, neanche un centesimo in cassa o sul conto corrente. Un paradosso? No: è il meccanismo del corporate barter, il “nuovo baratto” che rimpiazza i pagamenti in denaro con un sistema di compravendita in compensazione. Le aziende pagano prodotti e servizi mettendo a disposizione un controvalore composto da prodotti e servizi equivalenti.
La somiglianza con il vecchio baratto è evidente: non si effettuano transazioni in denaro. La differenza, o meglio, le differenze? Il rapporto non è né bilaterale né contemporaneo, con margini meno stringenti di quelli che regolavano i vecchi scambi di merce. Ad esempio: se un’azienda acquista una scrivania, potrà corrispondere l’acquisto fornendo un bene a un’altra società affiliata al circuito barter (non per forza al creditore che ha fornito la scrivania) e solo quando c’è una richiesta effettiva (non in contemporanea all’acquisto che è stato effettuato). Il fenomeno inizia a ingranare, stando a dati dell’Ufficio studi della Camera di Commercio di Monza e Brianza che parlano di un “giro” da 1,8 miliardi di euro per il 2015 nella sola Lombardia. Lo strumento è già in uso da 60mila imprese della regione, viene impiegato per vendite e acquisti dal 7,3% degli intervistati e ne “incuriosisce” più del 40. Ben oltre la curiosità, del resto, stanno andando le reti di barter che iniziano a formarsi in tutta la Penisola.
I vantaggi del sistema sono abbattimento dei costi, allargamento del network aziendale e l’apertura a un credito “alternativo” che riesce tanto più prezioso in periodi di sportelli sigillati a qualsiasi investimento. Non è un caso se tra gli utenti più indicati ci sia la piccola e media impresa, dalle partite Iva alle società con più di 50 dipendenti in organico. Se in Lombardia la «moneta complementare» risponde al nome di Eurex, in Romagna è nata un anno fa una rete analoga: Quinc, in omaggio alla moneta di bronzo Quincunx. Il network valorizza gli scambi effettuati con due tipi di pagamenti, «crediti Quinc» e «Buoni circolari». I primi più adatti alle aziende per operazioni di grossa portata, i secondi più generici e spendibili tra operatori singoli. In entrambi i casi gli affari si aprono e chiudono online, con un sistema telematico che segna una (ovvia) differenza dal baratto ordinario.
«Questa pratica è vecchia come il mondo. Ora, tramite, questi sistemi informatici si riesce a renderla molto veloce» spiega Paolo Tintori, responsabile tecnico-amministrativo di Quinc. Nelle prospettive della rete, i pagamenti non monetari sono un’ancora di salvezza per le imprese tagliate fuori dai finanziamenti. Il barter restituisce quello che la carenza di liquidità ha tolto e «diviene uno strumento molto importante per andare a recuperare tutti quei servizi che la crisi sta rendendo non più utilizzabili. E per mantenere in loco la ricchezza». Tintori conferma l’opportunità in ballo per le Pmi, meglio se riunite in cordate che «massimizzino la forza produttiva» e riaprano canali ristretti dalla recessione.
Il barter, secondo Tintori, potrebbe oliare un mercato B2B penalizzato dalla crisi anche nella compravendita dei servizi più essenziali: «Facciamo un esempio nel business to business. Un’azienda deve acquistare un servizio da un idraulico per mille euro. L’idraulico che va a effettuare il servizio acquisisce un credito di 1.500 euro a valere su altre aziende». E i numeri? I dati registrati in Lombardia non indicano un movimento omogeneo nel resto d’Italia. Secondo Tintori, la sfida di Quinc e reti analoghe non è solo aumentare numero di iscritti, crediti e debiti attivati con le nuove forme di baratto. Lo scoglio più grosso è raggiungere quello che si dà già per scontato all’estero: la coesione, abc per un network che funzioni. «All’estero già esistono sistemi simili, e ci sono circuiti importanti – spiega Tintori –. La differenza è che hanno una forma mentis più collaborativa, sono abituati a inquadrarsi in gruppi coesi. Qui, per ora, l’impronta è molto più provinciale».