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 2014  dicembre 10 Mercoledì calendario

Cinque stralci di lettere e diari con tanto di errori grammaticali tratti da Storia intima della Grande Guerra, un volume curato da Quinto Antonelli. Scrivono un muratore, un contadino, un pastore, un bracciante e un gigante col berretto di ferro

«Tremavocome una foglia»
Mimo Genga, muratore, nato  a Colbordolo (Pesaro), 1894, arruolato nel 37° reggimento di fanteria.
(…) Calmi tranquilli si stava costruire una trincea quando ad un tratto si sente in lontananza un mormorio di un proiettile, io pel primo non sapevo cosa fosse, tutti ci alzammo in piedi guardandosi l’un con l’altro, cos’è? Rispose il maggiore Franchi nulla, nulla è una mosca che fa una gitta, noi tutti zitti sincomincia di nuovo l’opera, ma non fu finito, trascorremmo 4 o 5 minuti si risente di nuovo, ma molto più vicino del primo, noi tutti si rideva, andava tanto lontano che nessuno si sentiva l’esplosione, passammo ancora qualche minuto, il terzo poi fu spaventevole, sudiva la palla che era assai vicino, la paura non so descriverla, chi da una parte chi dall’altra fummo scappati, tremanti ci siamo ritirati all’accampamento, non fu finito, dopo una mezzora un simile proiettile da 152 esplose a due o tre metri al di sopra della mia testa, per fortuna è stato corto, se esplodeva 5 metri più avanti prendeva tutto l’accampamento, non sapevo dove andare, tremavo come una foglia sull’albero ma anche questo passò. (…)
«Prendi velenoso Serpente»
Giacomo Beltrami, contadino, nato a Nomesino (Trento) nel 1875. Arruolato nell’agosto del 1914 nell’esercito austroungarico.
(…) Poi hò deto lato di contrizzione mi feci il segno della Santa Croce e mi alzzai, guardo versso il mio averssario, egli pogiava le mani in tera e si alzzava un pocho poi tornava à cadere; Io vedendomi assi mal punto, e penssato a quelo che à fatto la rabia mi acechò non vedendo più il pericolo che mì minaciava prendei il mio fucile dal calcio in sù, e li andò a presso, egli mi guardava coli ochi spalancati la boca aperta, io alzzai il fucile come si fano affare un buco col palo di fero, così calai il colpo ficandolli la baioneta in boca passando dalaltra parte Prendi velenoso Serpente tù non avrai più la grazzia di andare in Russia e avantartti che hai uciso un Austriaco. (…)
«Non ho stima per gli eroi: sono assassini»
Francesco Giuliani, pastore e bracciante, nato a Castel del Monte (L’Aquila) nel 1890. Autodidatta, assegnato al 13° reggimento di fanteria, è autore di una complessa opera memoriale. Questa lettera è indirizzata alla moglie.
Io ho cercato sempre di non farmi vincere dalla paura, perché quando si è nel pericolo può riuscire dannosa che fa perdere il lume della ragione. Io posso dire che non sono un vile ne un coraggioso, il coraggio tante volte non mi è mancato ma non ne ho fatto abuso inutilmente. Io non ho l’ambizione di salire in alto con atti di valore, mi contento di restare nel primo gradino, basta che mi riuscisse di salvare la pelle. Io non ho stima, né simpatia per quelli che sono i coraggiosi eroi; in guerra tutti quelli che vi sono distinti come eroi sono assassini, il vero eroe è quello che mette in pericolo la propria vita per salvare quella degli altri.
«Sono pieno di pedochicome un maiale»
Carlo Franzelli, nato a Roccafranca (Brescia) nel 1895, arruolato nel 30° reggimento  di fanteria. Muore in un ospedale  da campo il 24 dicembre 1915.
Signor Costanso
(…) Prima di cominciare la Guerra tutti gridava. Evvi[v]a la Guerra ma adesso che casca i Soldati come le mosche grida la Pace, ma invece il Soldato Franzelli mai non trema sempre coraggio e se non muoio voglio prendere la Medaglia. Quando vado a gridar Savoia sci capiscie che anno paura perche cio una barba che somiglio un gigante cio un beretto di ferro in testa sono infangato fino gli ochi sono pieno di pedochi come un maiale ma cosa fare senpre Savoia Avanti ciao (…)
«Si dovrebberovergognare»
Cesare Menghi, bracciante, nato nel 1892 a Casale di Cesena, arruolato nel 120° reggimento fanteria, Muore per malattia  il 23 aprile 1917 nell’ospedale militare di Pavia.
Carissima sorella
Io sto bene e mi dispiace che ti ò messo cosi in pensiero ciò la colpa e mia afarti sapere certe cose. Ciò ne sono pen[ti]to Cosa voi pensare
Conosco che ne sei dispiacente ma poi e cosi non vedi che non la finiscono mai la mia paura e ce troppo seguito Capirai a noi qua si divora la rabbia nel sentire che in Italia fanno delle feste perla presa di gorizzia e suonare le campane si dovrebbero vergognare.
Io ti saluto di vero cuore e sta aiegra che vogliamo sperare in bene sono sempre tuo fratello Cesare.