il Fatto Quotidiano, 10 dicembre 2014
Herbert von Karajan, il grande direttore d’orchestra discusso più per la sua figura che per la sua arte. Ora un documentario fa luce sulle leggende, gli stereotipi, le polemiche, le lodi, le critiche riguardo all’uomo che ha sconvolto la musica mondiale
Se c’è un mito che aleggia, a volte in misura soffocante, sulla storia della musica classica del XX secolo, senza dubbio è quello di Herbert von Karajan, icona ed enigma, artista e personaggio. Il suo volto, incorniciato dai capelli bianchi sapientemente spettinati, fotografato sempre da sinistra (il suo lato migliore, diceva il maestro), ci guarda dalla copertina di milioni di album, video, Cd e Dvd. Il grande direttore d’orchestra salisburghese è senza dubbio colui che ha fatto più di ogni altro per far uscire la musica sinfonica dall’angusta cerchia degli appassionati e dei conoscitori trasformandola, nel dopoguerra, in un prodotto culturale di largo consumo.
Le perplessità riguardano per lo più l’uomo che continua a essere sfuggente, enigmatico, opaco. A parte il carattere dispotico, la macchia più grande sulla sua reputazione è rappresentata dal suo passato politico. Von Karajan è stato membro del partito nazionalsocialista e, probabilmente proprio per questo, oggi la maggior parte dei direttori d’orchestra – a volte con pretesti poco verosimili – ripudiano apertamente la sua eredità musicale. L’approccio di Karajan alla musica – affermano quelli dei suoi colleghi che non lo amano – rappresenta una ideologia all’interno della quale l’esteriore apparenza di perfezione e la pulizia formale della sonorità orchestrale sono un fine, una sorta di stampo utilizzabile per tutto il repertorio, da Bach a Berg, da Mozart a Mahler.
È proprio su tutte le leggende, gli stereotipi, le polemiche, le lodi, le critiche alimentati da Karajan che si interroga il nuovo documentario di John Bridcut – La magia e il mito di Karajan – trasmesso dalla Bbc lo scorso 5 dicembre a circa 25 anni dalla sua morte. Il documentario ha momenti suggestivi : interviste con i musicisti della Filarmonica di Londra risalenti ai primi anni Cinquanta, con colleghi quali Harnoncourt e Mark Elder e con alcuni solisti con i quali collaborò negli ultimi anni della sua folgorante carriera: Placido Domingo, Anne-Sophie Mutter e Jessye Nor-man.
Ne esce un ritratto che fa giustizia di alcuni luoghi comuni. In realtà von Karajan, come uomo e musicista, non corrisponde alla caricatura di gelido perfezionista nella quale è stato confinato da ampi settori della critica musicale. Il film documenta anche l’indubbia vanità del maestro. Non solo si preoccupava di essere ripreso e fotografato dal suo lato migliore, ma faceva in modo che il suo primo flauto, James Galway – noto con il soprannome di “uomo dal flauto d’oro” – non apparisse mai nei film e nelle foto. Detestava “il suo volto irsuto”. In realtà aveva una barbetta per di più sempre molto curata. Aveva in odio anche la calvizie e sembra costringesse i musicisti a mettere una parrucca quando il concerto doveva essere filmato o trasmesso in televisione.
Ma il documentario di Bridcut – al pari dei molti che lo hanno preceduto – lascia senza risposta l’interrogativo più importante: come riusciva a produrre quella insuperata armonia di suoni e a dirigere con mano ferma e inflessibile i suoi orchestrali? Il film avanza diverse ipotesi. Anzitutto ricorda il contratto di ferro che gli consentiva, ogni qual volta si trovava a Berlino, di convocare i musicisti a qualunque ora del giorno o della notte, senza preavviso e senza rispetto per l’orario di lavoro. C’erano poi il suo magnetismo e il suo carisma che sembravano paralizzare le volontà individuali degli orchestrali non appena metteva piede sul podio, alzava la bacchetta e li guardava. In quel momento i musicisti diventavano “sue creature”, strumenti essi stessi. E malgrado tutto questo non è facile capire come riuscisse a imporre la sua volontà assoluta sui musicisti e sulla scena musicale dell’epoca.
Il documentario di Bridcut conferma che la cultura musicale odierna non potrebbe tollerare il fenomeno von Karajan anche se la mitizzazione dei direttori d’orchestra è una realtà anche oggi. Preoccupa invece il masochistico impulso a distruggere il più grande mito musicale del XX secolo. Perché masochistico? Perché rifiutando Karajan rischiamo di sottovalutare l’intensità e l’incancellabile potenza del mondo di suoni da lui creato e l’uso visionario e pionieristico che seppe fare dei media. A un quarto di secolo dalla sua morte, lo si voglia o meno, Herbert von Karajan rimane un figura sismica della musica classica, un direttore d’orchestra che è stato capace di terremotare il panorama musicale e con il quale tutti ancora oggi debbono fare i conti. A prescindere da quello che era o quello che voleva far apparire.