il Fatto Quotidiano, 10 dicembre 2014
I buoni pasto sono ormai diventati una moneta parallela, in mano a pochi grandi gruppi. Un mercato da 2,7 miliardi e zero controlli: tra giganti stranieri e arrembanti italiani, Stato e privati incassano i frutti di una battaglia legale a colpi di ribassi tra le società che emettono i tagliandi
Nella guerra dei “buoni”, sono in pochi a vincere. Quello dei ticket che sostituiscono la mensa aziendale è un mercato da 2,7 miliardi e zero controlli: tra giganti stranieri e arrembanti italiani, Stato e privati incassano i frutti di una battaglia legale a colpi di ribassi tra le società che emettono i tagliandi, vera e propria moneta parallela usata per comprare di tutto. In mezzo, ci sono 2,5 milioni di lavoratori (900 mila statali) e oltre 120 mila ristoratori esasperati dalle commissioni, fino al 15 per cento.
L’ultimo regalo ha tamponato i malumori. La potente federazione degli esercenti, con il supporto della società di lobby Cattaneo Zanetto (che assiste anche società emettitrici) ha ottenuto la defiscalizzazione fino a 7 euro per il buono pasto (ferma a 5,29 da 15 anni), grazie a un emendamento Pd alla legge di Stabilità. Un aiuto alle aziende che non entusiasma gli esercenti. “Vale solo per quello elettronico – spiega un ristoratore – Il valore nominale dei buoni salirà e così anche l’importo della commissione”. In Francia, dove è stato inventato, non supera il 3 per cento. In Italia, grazie alla doppia aliquota Iva, le società guadagnano prima ancora di chiedere l’aggio ai ristoratori (45 centesimi su 5 euro), il mercato continua a crescere. Finora il matrimonio d’interesse tra Anseb, l’associazione di categoria degli emettitori, e i ristoratori della Fipe, ha frenato la rivolta. La paura di essere tagliati fuori da un settore che assicura pur sempre una clientela fissa ha fatto il resto.
Come per i colossi pubblici, anche nel privato per ottenere i contratti migliori, quelli da migliaia di clienti, le società si battono fino all’ultimo sconto al committente, rifacendosi sui ristoratori. Con i costi dei servizi, un buono da 5 euro viene rimborsato, con ritardi anche di mesi, per meno di 4 euro. E chi conosce il settore sa che il peggio non è alle spalle. A giorni, infatti, la Consip (la centrale acquisti della Pa) darà il via alla nuova gara nazionale per gli impiegati statali. Un maxi-appalto che nell’ultima versione valeva 910 milioni di euro. Il 40 per cento del mercato (1,1 miliardi) passa dalla mano pubblica. “Chi vince i lotti regionali fa il colpo – spiega un esperto del settore che chiede l’anonimato – perché le amministrazioni centrali sono obbligate a utilizzare i suoi buoni pasto, mentre gli enti locali possono scegliere se aderire, e di solito lo fanno perché nessuno offre di meglio: si diventa monopolisti, con un potere enorme”.
Dal 2012, sulla carta i bandi vengono assegnati in base all’“offerta economica più vantaggiosa”. In pratica, denuncia l’Anseb, il meccanismo rimane il “massimo ribasso”: chi propone lo sconto più alto vince. Il sistema è complesso, si difendono da Consip, e considera anche la qualità del servizio. Ma l’ultima gara è finita con sconti fino al 20,7 per cento. Cifre irragionevoli. “Significa operare in perdita o rifarsi sui ristoratori”, spiega Franco Tumino, presidente di Anseb. Le proteste e i numeri gli danno ragione. Sempre più spesso, i clienti si vedono rifiutare alcuni ticket, sempre gli stessi.
Stando ai valori di gara, le società dovrebbero perderci. La maggior parte dei bilanci, però, non sono in rosso, anche se gli utili risultano magri. Per i ristoratori la colpa è dei “servizi aggiuntivi” che rifilano agli associati, su “base volontaria”. “Dentro c’è di tutto, dalle commissioni per essere pagati subito, invece che a due mesi, alla pubblicità, fino all’idraulico – spiega un ristoratore romano mostrando le clausole in miniatura – Passano a pranzo per ‘aggiornare i dati’, tu sei distratto e non sai cosa firmi. Poi scopri che la percentuale da dare è passata dal 5 al 10 per cento. E con i ritardi si arriva al 20”. In un mercato senza controlli, con grossi movimenti di liquidità che gonfiano i bilanci, il timore di infiltrazioni criminali è alto. Alcune relazioni della Direzione investigativa antimafia parlano di rischio riciclaggio.
Nel tutti contro tutti, succede che il leader del mercato, la francese Edenred – 1,2 miliardi di fatturato – sia fuori dai bandi Consip: “Abbiamo fatto offerte sostenibili, altrimenti da qualche parte devi rifarti”. Nel 2002 l’Antitrust comminò una multa da 34 milioni di euro – mai pagata – a 8 società per aver fatto cartello sulle offerte. Oltre dieci anni dopo, la situazione è ribaltata: ora la concorrenza è feroce. I due lotti più grossi (353 milioni di euro) dell’ultimo bando li ha vinti la Qui Group di Gregorio Fogliani, imprenditore di origini calabresi trapiantato a Genova, dove ha creato un impero da mezzo miliardo di euro. Secondo Anseb, ha proposto “prezzi insostenibili per altri operatori”, tanto da vincere quasi tutti i lotti, poi ceduti perché la legge vieta il vincitore unico. “Ci premiano per l’offerta tecnica, non per il prezzo: offriamo servizi innovativi che permettono rimborsi istantanei”, replicano dalla società. In un mercato dominato dai francesi (Accor, Sodexo etc..), Qui Group cresce a ritmi vertiginosi, più del settore (ma ha utili striminziti: 994 mila euro). Vicino all’Opus Dei e con amicizie ad alto livello in Vaticano, negli anni Fogliani ha conquistato quasi tutti i colossi pubblici, dalle Ferrovie a Poste, passando per Eni, Enel, Bankitalia, Corte dei Conti e ministeri vari, per finire alla stessa Consip. Da tempo promette la quotazione in Borsa, e spende milioni di euro in pubblicità. Nel 2012 si è preso il ramo buoni pasto del gruppo italo-francese Gemeaz che gli ha portato in dote la ricca convenzione con la Compagnia delle Opere, il braccio economico di Comunione e Liberazione.
Gli sconti più forti, fino al 20,7 per cento, però, li ha fatti registrare la Repas Lunch – 86 milioni di ricavi – controllata attraverso una società lussemburghese dall’imprenditore napoletano Antonio Lombardi, attivo nelle agenzie interinali. Fino al settembre scorso, secondo azionista era la Fedra, fiduciaria della potente banca Finnat, l’Istituto della famiglia Nattino, vicina al Vaticano. Attraverso la Avagliano editore, Repas controlla anche la Edizioni Lavoro, la casa editrice della Cisl, il sindacato che ha aperto i servizi della Qui Group di Fogliani ai suoi 4 milioni di iscritti. Oltre alla francese Day (17,5 per cento di sconto), l’ultimo lotto (88 milioni di euro) è andato alla napoletana Ep di Pasquale Esposito, che serve procure, comandi Finanza e Ospedali.
A ottobre scorso, il Consiglio di Stato ha deciso che non tocca ai Tribunali amministrativi bloccare le gare con i ribassi troppo pesanti. Tutto, quindi, è nelle mani della Consip. La spending review impone di risparmiare. Chi ci rimetterà?