La Stampa, 10 dicembre 2014
«Tu sei nata per sfortuna!» queste le ultime parole che la madre di Veronica disse alla figlia quattordicenne prima che se ne andasse da casa. La disgraziata infanzia della mamma del piccolo Loris
«Veronica sin da bambina era affetta da manie di persecuzione. Era una bambina aggressiva e violenta». La mamma Carmela lo fa mettere addirittura a verbale. Dice: «Fino all’età di 7 anni è stata seguita e curata da uno psicologo. Poi s’è rifiutata». In una telefonata con l’altra sua figlia, va giù ancora più dura: «Noi non abbiamo colpa se questa è alienata... Già, il Mulino lei lo conosceva bene. Ci veniva a prendere l’acqua con me».
Non parlava con la madre
Ma Veronica non ci parlava più con sua mamma da quando aveva 14 anni, dal giorno in cui in una lite furibonda lei le aveva gridato: «Tu sei nata per sfortuna!». Era uscita di casa e non l’aveva più voluta rivedere. Neanche i suoi figli, glieli aveva mai fatti conoscere. Eppure, la sua vita disgraziata ha dolcezze lontane, che sembrano sfinirsi in questi giorni senza luce, ricordate con tenerezza nel paese della sua infanzia, in Liguria. Quando don Giampaolo Pizzorno suonava alla porta della casa, dice che la prima che correva ad aprire era lei. Veronica era biondina, con qualche capello randagio che le brillava come i filamenti delle lampadine, appena si strofinava le sopracciglia con il polso, «e aveva sempre i vestitini puliti», perché, ricorda la sua maestra dell’asilo, Luisella Buffaldi, «lei ci teneva». Don Pizzorno le accarezzava la testa e veniva avanti, nella casa un po’ fatiscente di via Chiappa, con le mura scrostate dall’umidità, le stanze rese più piccole dai giochi sparsi sul pavimento, quegli odori di bollito e patate lesse che giungevano dalla cucina assieme ai vapori. Passava quasi tutti i giorni per portare gli aiuti della Caritas e prima di bussare alla porta si fermava a comprare qualcosa anche per i piccoli. Prendeva del latte, e dei biscotti da mangiare. Solo che mamma Carmela non era la santerella che sembrava e mentre il prete le portava gli aiuti, lei si comprava una casa lì vicino.
L’infanzia nel savonese
L’infanzia di Veronica Panarello è fra queste mura, – Rocchetta di Cairo Montenotte, Savona -, che adesso sembrano fluttuare in tutta questa luce, assieme alle sue memorie. Mamma Carmela era molto grintosa, ricorda padre Pizzorno, ma doveva esserlo per forza, con quella ciurma che si era portata dietro dalla Sicilia assieme al suo compagno, che aveva riconosciuto tutti i suoi figli, anche quelli che non aveva fatto lui. Ne aveva 3, e il quarto, Ignazio, era in arrivo. In più c’era la nonna, la madre del babbo, che era paralizzata in carrozzella: tutte le mattine don Giampaolo passava a portarle la comunione. In paese lo sapevano che Carmela aveva avuto più uomini. Però la maestra delle elementari, Anna Maria Ciammaichella, diceva che vedeva sempre e solo lei accompagnare i bambini a scuola: «tutti ben vestiti, ordinati, sempre con la merenda, non gli faceva mancare niente». Il padre non c’era mai. Faceva il camionista, sempre in giro. Padre Pizzorno dice che «era una persona calma, pacifica». Qualcun’altro lo descrive «un tipo un po’ border line, uno che si arrangiava». Ma dentro a questi controsensi cresce Veronica, dentro a questo mondo opaco, dove i rancori e l’ignoranza sono mascherati o nascosti.
Una bimba «un po’ vivace»
La bambina fa tutte le scuole, va alle elementari statali di Rocchetta e poi alle medie Aemilia Scauri di Dego, e tutti la descrivono come una tranquilla, «anche se un po’ vivace», perché pare aggredisse le compagne. Fa il catechismo, «la prima comunione e la cresima, e tutte le domeniche a Messa si confessava». Gioca per strada, come tutti i bambini del paese, accompagna il fratello all’oratorio, guardando i ragazzi della sua età bighellonare avanti e indietro per le viuzze come un pesce nell’acquario, senza poter fare altro che restare fuori.
Il ritorno in Sicilia
Comincia a crescere, quando tornano in Sicilia, a 12 anni. E lì cominciano i problemi. In quella furiosa lite con la mamma lei viene a sapere che quello che conosce non è suo padre: il papà biologico è un uomo con cui lei ha avuto una relazione occasionale. Lo va a cercare e quando lo incontra è un trauma. Tenta il suicidio subito dopo, bevendo della candeggina, anche se il suo avvocato lo smentisce.
Le donne contro, madre e figlia, sono il mistero terribile di questa famiglia. Quando conosce Davide lui le fa muro per proteggerla da Carmela, che lei teme e odia. Quando su Facebook chiede l’amicizia alla sua maestra d’asilo, la Luisella, sembra quasi aggrapparsi alla memoria di tempi che non ci sono più. Lei risponde «che piacere, ti ricordo benissimo». Sfoglia la sua pagina e trova le foto dell’asilo, conservate come immagini felici. Non ci sono quelle dei suoi figli, quasi a dichiarare il desiderio disperato di restare lei, sola, figlia per sempre. La figlia che non era mai stata, che non era «nata per sfortuna».
Intorno alle 13.30 di ieri, l’inviato di «Chi l’ha visto?» Paolo Fattori ha rinvenuto una fascetta bianca da elettricista parzialmente bruciata sul luogo del ritrovamento del corpo di Loris Stival, accanto ai fiori deposti in questi giorni. Il giornalista ha avvisato subito i carabinieri presenti che, poco dopo, hanno trovato un’altra fascetta nera poco distante, nei pressi del Mulino vecchio.