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 2014  dicembre 10 Mercoledì calendario

Un premier-artista per l’Albania. Pittore e performer, ora primo ministro del governo di Tirana, Edi Rama ha trasformato la capitale e aperto al pubblico il bunker del dittatore Hoxha. «Anche la politica è un’arte. Chi crea e chi governa si assomigliano: sono soli e hanno bisogno degli altri»

Anche l’arte vuole la sua parte. Lo conferma Edi Rama ricevendomi nel suo ufficio di primo ministro della Repubblica Albanese. Lo studio è totalmente tatuato da suoi disegni alle pareti. Una costellazione di forme astratte e colorate disseminate sui muri con allegra noncuranza e giocosa impertinenza. Edi Rama, artista e uomo politico. Ci siamo conosciuti nel 1994 alla Biennale di San Paolo in Brasile, io curatore per l’Europa occidentale e lui partecipante a quell’edizione con un lavoro ben installato nell’architettura di Niemeyer. Forma ed energia al servizio di un’idea dell’arte capace di confrontarsi con una realtà difficile e oppressiva come i regimi di Enver Hoxha prima e Sali Berisha poi.
Esule a Parigi, picchiato selvaggiamente in un agguato notturno a Tirana dalla polizia segreta di Berisha, vede accelerare la sua lunga marcia di avvicinamento alla politica: ministro per la cultura nel 1998 nel governo di Fatos Nano, sindaco per tre mandati dal 2000 al 2011. Nel 2009 diventa segretario del Partito socialista e infine primo ministro. Ma senza mai rinunciare all’altra parte della sua identità, quella d’artista. Da qui i suoi esercizi di pittura automatica, o di “automatismo psichico” come direbbero i surrealisti, durante le interminabili riunioni politiche. Lo testimoniano alcune tracce disseminate nel suo ufficio: le scatole di pennarelli e i colori in vista trionfale sulla scrivania. I risultati della sua azione sono sotto gli occhi di tutti. Per quelli estetici, basta guardare il rinnovamento urbanistico della città di Tirana. Per quelli politici, basta citare il dialogo con l’Europa e la necessità di fare i conti con il passato più buio del proprio paese. Il mese scorso, il premier ha reso per la prima volta accessibile al pubblico il bunker antiatomico costruito al tempo della dittatura di Hoxha: «Abbiamo aperto la porta della nostra memoria collettiva», ha detto Rama.
La sua biografia è scandita da vari passaggi: artista, professore, ministro della Cultura, sindaco per ben tre mandati e primo ministro. Esiste un’arte del governare?
«Sicuramente deve esistere. Io credo che in una situazione particolarissima come quella dell’Albania e di Tirana, dove le possibilità finanziare sono limitate, l’arte del governare diventa uno strumento importante. Ho potuto constatarlo quando abbiamo cominciato ai ridipingere i vecchi palazzi dell’architettura comunista. Da politica, questa è diventata un’operazione artistica: colori in mancanza di soldi. Dovevo dare alla città un segnale di cambiamento e svegliarla da una terribile situazione di abbandono, polvere, fango e mancanza totale di comunicazione. Nei primi dieci anni seguiti alla fine della dittatura, tutti volevano riconquistare uno spazio esclusivo. Dopo cinquant’anni di collettivismo, tutto era “nostro” e niente “mio”. Dovunque è cominciata l’occupazione degli spazi pubblici e sono spariti quelli verdi. I vecchi palazzi sono stati trasformati nella loro struttura come da migliaia di mani che spingevano per allargarne i volumi. Il colore è servito da materia per ricomporre questi volumi, ma anche per unire la cittadinanza intorno a qualcosa che stava succedendo, come intorno a un fuoco. Quello che ho notato è che, davanti alla bellezza, anche in periferia, nelle zone più bisognose della città, la gente diventa più rispettosa dello spazio e del vivere in comune».
Tirana è stata anche la città record per le università private: veri e propri “laureifici” dove comprare il titolo di studio. Lei ha chiuso molte di queste università, ma oggi che situazione c’è?
«Non affrontando la piaga della disoccupazione, in passato si sono aperte università fasulle che davano ai giovani l’illusione di non avere poi problemi nel trovare lavoro. Ma ora sappiamo che per gli studenti è necessaria una formazione professionale in grado di fornire strumenti utili a trovare un’occupazione reale nell’economia reale. Per questo abbiamo deciso di chiudere tutte le università che erano fuori dagli standard legislativi: alcune “vendevano” lauree impunemente. Da questo mese un’agenzia di rating internazionale inglese si occupa di valutare tutte le università sopravvissute a una prima selezione».
Picasso parlava di un’arte “puntata sul mondo”.
«La politica può coincidere con un’arte che punta sul mondo, può essere il ponte tra arte e mondo».
È possibile trasformare un popolo, come quello dei Balcani, che di solito si associa alla guerra, in un popolo che dialoga diplomaticamente con Europa, Cina, Stati Uniti, Russia?
«Qualche settimana fa, il Papa è stato in visita ufficiale qui, in Albania. Alla fine della giornata, è stata scattata una foto unica al mondo. Il capo della comunità musulmana, il capo della comunità ortodossa e il capo di un’altra frangia della comunità musulmana erano tutti e tre in prima fila ad ascoltare la messa. Gli albanesi, musulmani e cattolici, vivono insieme, vanno negli stessi cimiteri, si uniscono in matrimoni misti. Nella mia famiglia siamo cristiani, cattolici, musulmani e ortodossi. Ma c’è l’altro lato della medaglia. Nei Balcani oggi, 2014, centenario della Prima guerra mondiale, è il primo anno in cui non registriamo nessun conflitto, in nessuna frontiera, e dobbiamo renderci conto che questa è una circostanza eccezionale per l’Europa stessa. Perché questa pace è scaturita come necessità di dialogo imposto dalla magia dell’Europa, dal fatto che tutti dobbiamo convergere in Europa. Quella che viviamo, però, è una situazione molto fragile. La multireligiosità rappresenta la forza, ma anche la fragilità di questa regione perché, dall’altro lato, ci sono tutte le derive islamiche fondamentaliste che possono insinuarsi dove non c’è educazione, non c’è occupazione, non c’è futuro. Gli albanesi, che per anni sono stati accusati di creare problemi in Europa, non solo sono pronti per la pace, ma nei Balcani ne sono i più grandi investitori. La loro esperienza di popolo che vive in cinque paesi diversi li aiuta a perseguire questo scopo».
Pensa che possa esserci una dialettica tra l’artista e il politico? Qual è l’equilibrio possibile?
«L’artista e il politico, quando raggiungono i vertici della loro professione, si assomigliano perfettamente. Sia l’artista che il primo ministro sono uomini soli: il primo perché non vuole compagnia mentre lavora, mentre crea, il secondo perché potere e solitudine sono due concetti collegati. Ma entrambi, l’artista e il politico, hanno bisogno degli altri: per coniugare la creatività con il pensiero democratico, le idee con le necessità altrui. Senza gli altri, non si può avere la forza di andare avanti».