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 2014  dicembre 10 Mercoledì calendario

«Chi pagherà per noi se non esportiamo più in Russia? L’Italia venga a investire nei Balcani: nessuno offre incentivi migliori». Parla il premier serbo Vucic che guarda all’Europa ma non rompe i ponti con Putin

«L’obiettivo strategico della Serbia è l’adesione a pieno titolo all’Unione europea. Il nostro Paese non oscilla tra Est e Ovest. L’ho detto anche davanti al presidente Putin in una conferenza stampa congiunta. Allo stesso tempo però, noi vogliamo conservare i nostri tradizionali buoni rapporti con la Russia. Abbiamo sostenuto l’integrità territoriale dell’Ucraina, ma nessuno ci ha chiesto di aderire alle sanzioni contro Mosca, non siamo ancora membri a pieno titolo della Ue. Noi cerchiamo di sopravvivere in una congiuntura difficile: come premier voglio assicurare il nostro cammino verso l’Europa, ma anche mantenere una situazione economicamente sostenibile. Chi aiuterebbe la Serbia se dovessimo pagare prezzi del gas intorno ai 500 dollari per mille metri cubi? Chi pagherebbe se dovessimo diminuire il nostro scambio agricolo con la Russia, forse la Polonia? Si metta nei miei panni e vedrà che anche lei non farebbe altrimenti».
Il premier serbo Aleksandar Vucic è oggi a Roma, per una visita nel corso della quale incontrerà il capo dello Stato, Giorgio Napolitano e il presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Vucic vedrà anche i manager di diverse aziende italiane, alcune già presenti in Serbia, altre pronte a investirvi. All’Italia, primo partner economico di Belgrado con oltre 3,5 miliardi di euro di interscambio commerciale, il leader serbo offre nuove opportunità di investimento e chiede di continuare a sostenere il cammino europeo della Serbia, «pilastro della stabilità regionale». «Tre cose – dice Vucic nell’intervista al Corriere – ci uniscono con Matteo Renzi: la crescita, le riforme e l’Europa».
Potrebbe riassumere in poche frasi perché un’impresa italiana debba investire in Serbia?
«Nessun altro governo nei Balcani è in grado di offrire i nostri incentivi. Secondo, abbiamo migliorato di recente il contesto economico, rendendolo più favorevole agli investitori stranieri. Terzo, i serbi sono molto ben disposti verso gli italiani e le imprese italiane. Quarto, abbiamo una manodopera molto qualificata e un costo del lavoro relativamente basso. Infine, abbiamo accordi di libero scambio non solo con l’Ue ma anche con Russia, Turchia, Kazakistan, Bielorussia, quindi le cose prodotte da noi sono esportabili senza dazi su vari mercati».
La cancellazione del progetto South Stream da parte di Mosca mette a rischio la vostra strategia energetica, visto che eravate uno dei principali beneficiari...
«Abbiamo varie opzioni allo studio. Noi eravamo favorevoli al progetto, per ragioni di sicurezza energetica e di opportunità per le nostre aziende. Abbiamo bisogno di tempo. Faremo delle interconnessioni con altri Paesi per facilitare l’afflusso di gas, ma questa non potrà essere una soluzione definitiva».
La crisi della Ue non rende per lei più difficile far accettare il progetto di adesione?
«Certo, c’è un certo calo di fiducia verso l’Europa anche in Serbia, ma non guido il mio Paese per far piacere agli euroscettici. Io credo che il cammino verso l’Europa sia per noi quello migliore, nonostante tutte le difficoltà».
La visita del premier albanese Edi Rama a Belgrado, la prima dopo 68 anni, è stata un fatto storico ma ha suscitato polemiche, soprattutto dopo gli incidenti allo stadio in occasione della partita Serbia-Albania. Sotto la pelle della normalità, il nazionalismo è sempre in agguato?
«Il nazionalismo è in agguato ovunque in Europa. Io sono fiero di aver invitato Edi Rama, anche se sapevo che ciò non avrebbe aumentato la mia popolarità, al contrario. Quello serbo-albanese è un dialogo che continuerà e diventerà un asse portante della stabilità balcanica».
Andrà in Kosovo?
«Abbiamo negoziati in corso, ho incontrato l‘ex premier Thaci a New York. Quando Madame Mogherini, spero al più presto, ci inviterà per un altro round saremo pronti. E credo che anche il nuovo premier Mustafa accetterà».
Se pensa alla Serbia tra cinque anni, come la vorrebbe?
«Un Paese moderno, economicamente in salute, determinato a mantenere i patti. Non ci devono essere ostacoli in grado di fermarci, io sono una specie di bulldozer politico. Non ho fatto promesse che sapevo di non poter mantenere. Ho detto che avrei fatto riforme anche dure, non voglio piacere a nessuno, né all’opinione pubblica serba né alla comunità internazionale. Non chiediamo favori, vogliamo essere giudicati per quello che facciamo: dobbiamo cambiare noi stessi, le nostre abitudini di lavoro. Solo così avremo successo».