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 2014  dicembre 10 Mercoledì calendario

La crisi senza fine della Grecia che spaventa l’Europa e le Borse: il premier Samaras anticipa le presidenziali, in caso di mancato accordo si va verso un nuovo voto e il favorito ora è Tsipras che vuole ridiscutere le misure imposte ad Atene dalla Troika. Intanto i mercati crollano: Atene a -13%, 208 miliardi bruciati nelle Piazze del Continente. La stabilità dell’euro è di nuovo in pericolo

Il meglio dai giornali di oggi sulla crisi politica della Grecia, i timori dell’Europa e il crollo delle Borse.
 
Quando il premier greco Antonis Samaras ha rivelato ieri l’intenzione di spostare le elezioni presidenziali da febbraio a dicembre, sui mercati europei è ricominciata la pioggia di vendite: la Borsa di Atene è precipitata del 13% (la peggiore disfatta del listino da 27 anni a questa parte), trascinandosi dietro le principali piazze del continente, che hanno bruciato 208 miliardi di euro. Milano ha archiviato la giornata a -2,81%. Motivo del crollo, il timore che la votazione del prossimo presidente della Repubblica greco possa sfociare in elezioni anticipate. E siccome il favorito nei sondaggi è Syriza, il partito di sinistra radicale di Alexis Tsipras, gli investitori hanno segnalato i loro timori, probabilmente esagerati, che Atene possa riprecipitare nel caos [Tonia Mastrobuoni, Sta].
 
Spiega Federico Fubini su Rep: «Qui, sotto il Partenone l’Europa rischia di celebrare il suo funerale. Il copione, dicono le Cassandre e la Borsa ellenica, è già scritto e il primo atto è andato in scena in queste ore: la Grecia ha anticipato le procedure per eleggere il presidente della Repubblica e il governo ha candidato alla poltrona l’ex Commissario Ue Stavros Dimas. Se Dimas – come pare molto probabile – non otterrà il quorum, il paese andrà al voto anticipato attorno a fine gennaio con la sinistra radicale di Syriza (che vuol stracciare gli accordi con la Troika) nel ruolo di grande favorita».
 
La prima votazione per l’elezione del presidente si terrà il 17 dicembre. La seconda votazione si terrà il 22 e la terza, quella decisiva, il 29 dicembre. Scrive Vittorio da Rold sul S24: «Il voto per sostituire Karolos Papoulias, un ex partigiano della guerra al nazi-fascismo, è molto delicato per Atene e per l’intera area euro, poiché la maggioranza che sostiene Samaras è di 155 voti e per eleggere il presidente ne servono almeno 180, i due terzi del Parlamento monocamerale. Se non si raggiungerà la maggioranza qualificata nelle prime tre votazioni, la legge impone elezioni anticipate».
 
Un altro timore è che le elezioni anticipate metterebbero a rischio – ed il premier greco ha già formulato una richiesta di rinvio all’Eurogruppo – la conclusione entro la fine dell’anno dell’accordo tra governo greco e Troika (Commissione Ue, Bce, Fmi) sulle misure da attuare per il versamento dell’ultima tranche di prestito di 1,8 miliardi di euro [Stefania Tamburello, Cds].
 
Un tentativo di rasserenare i mercati è stato compiuto dal commissario agli Affari economici Pierre Moscovici: «Samaras sa dove sta andando, credo che i mercati dovrebbero sentirsi più sicuri di quello che si sono sentiti». Anche se poi ha aggiunto: «Seguiamo con attenzione la situazione». Tuttavia le sue parole non hanno impedito di veder volare alle stelle il rendimento dei titoli di Stato decennali greci, al 7,9% (più 91 punti base) mentre il differenziale con la Germania si è allargato a 726 punti (anche in questo caso, di 94 punti base inpiù della vigilia) [Vittoria Puledda, Rep].
 
Ufficialmente quindi la Commissione europea rassicura sulla Grecia, ma dietro le dichiarazioni pubbliche si nasconde un grande timore tra i partner europei dopo la reazione di panico di ieri dei mercati. Lunedì l’Eurogruppo aveva concesso ad Atene un’estensione di due mesi del programma di assistenza finanziaria, malgrado il mancato accordo con la Troika sui prossimi passi in termini di risanamento dei conti e riforme. Se tutto andrà secondo i piani, in caso di elezioni anticipate, Samaras potrà rivendicare di fronte al leader di Syriza, Alexis Tsipras, di aver resistito alle imposizioni della Troika. Poi, in caso di vittoria, l’attuale primo ministro dovrebbe accettare le condizioni che il Fondo Monetario Internazionale e l’Eurogruppo chiedono per concedere una linea di credito alla Grecia [David Carretta, Mes].
 
Le ultime richieste della Troika, altri 2,5 miliardi di tagli nel 2015, sono state la goccia che ha fatto traboccare il vaso. E la notte di scontri (domenica scorsa) tra forze dell’ordine e manifestanti in piazza per ricordare Alexandros Grigoropoulos e in solidarietà dell’anarchico Nikos Romanos – in sciopero della fame in carcere per reclamare il diritto di assistere alle lezioni universitarie – è un’altra spia del malessere collettivo. Tsipras, il leader di Syriza, non ha dubbi: «Siamo pronti a governare», ha ribadito ieri, certo che Samaras non riuscirà a eleggere il presidente e che il Paese consegnerà al suo partito (al 30% nei sondaggi, 3-6 punti più del centrodestra) il mandato per congelare gli accordi con Bce, Ue e Fmi e convocare una conferenza europea sul debito che riduca l’esposizione dei paesi in crisi. Grecia, ma anche Spagna, Portogallo e, potenzialmente, Italia.
 
La linea di Syriza è sempre stata di opposizione durissima alla Troika e al programma di austerità imposto in cambio degli aiuti, considerato «un fallimento», ma il portavoce di Tsipras garantisce che l’obiettivo è quello di un «negoziato con l’Europa». Tra l’altro, Syriza non ha mai chiesto di uscire dall’euro, contrariamente a quanto scritto erroneamente da molti. Un target dichiarato, tuttavia, è la rinegoziazione del debito. Non un taglio di quello detenuto dai privati, ma della quota in mano ai partner europei e della Bce. Peraltro, non una tesi da estremisti: il Fmi e autorevoli economisti sostengono da anni la necessità di una ristrutturazione del debito ellenico [Tonia Mastrobuoni, Sta].
 
Il timore è che Tsipras mantenga la promessa di cacciare la Troika da Atene, provocando il panico dei mercati e riportando all’ordine del giorno l’ipotesi di un’uscita dall’euro. In quel caso – come mostrano gli andamenti degli spread ieri – l’effetto contagio rischierebbe di colpire chi ancora non si è totalmente rimesso dalla crisi, come Portogallo, Spagna e Italia. «Il timore che condivido con i colleghi è che forse tra poco avremo governi euroscettici, e le cose cambieranno totalmente» facendo prevalere uno «scontro di visione» e la «paralisi», ha avvertito il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan [David Carretta, Mes].
 
Il candidato del governo di unità nazionale (Nea Dimokratia e Pasok) è invece Stavros Dimas, un tecnico di centrodestra poco carismatico e poco conosciuto al grande pubblico. È definitivamente sfumata l’idea di proporre una candidatura di compromesso come Mikis Teodorakis, 89 anni, il compositore greco famoso nel mondo anche per la lotta alla dittatura dei colonnelli, un nome che avrebbe potuto catalizzare l’interesse di Syriza, la sinistra radicale, oggi all’opposizione [Vittorio Da Rold, S24].
 
Fubini su Rep: «Il corto circuito ellenico non è un fulmine a ciel sereno. La polveriera Grecia è in ebollizione da mesi. La cura lacrime e sangue imposta da Bce, Ue e Fmi in cambio di 240 miliardi di prestiti ha dato risultati in chiaroscuro. Il paese, guardando la realtà con l’occhio dei ragionieri, è uscito dal tunnel: il Pil salirà l’anno prossimo del 2,9%. I conti dello Stato sono in attivo di 3,5 miliardi a fine ottobre. La crisi però ha lasciato un’eredità sociale pesantissima: un quarto del Pil è andato in fumo, la disoccupazione è al 26% e il reddito delle famiglie, polverizzato da tagli a stipendi e welfare, è crollato del 40%».
 
«La Grecia e i suoi politici dovrebbero smettere di dare la colpa agli altri, principalmente alla Germania. Dovrebbero invece lavorare sodo, traendo beneficio dall’attuale supervisione europea, in modo da modernizzare l’economia, ricostruire lo stato, battere la corruzione, aggredire l’evasione fiscale, punire le oligarchie illegali e applicare le riforme». Così ha scritto il giovane analista greco, George Tzogopoulos, nell’introduzione a un suo libro pubblicato alla fine del 2013 in inglese e intitolato The Greek Crisis in the Media (Ashgate).
 
Pavlos Eleftheriadis, professore di Legge a Oxford, ha appena pubblicato un saggio sull’ultimo numero di Foreign Affairs. “Misrule of the few”, “Malgoverno dei pochi”, è il titolo. Ovvero: “Come gli oligarchi hanno rovinato la Grecia”. Lo studioso inizia riconoscendo l’aggiustamento dei conti pubblici del suo paese, con il rapporto deficit/pil sceso dal 16 per cento del 2009 al 2 per cento attuale, un avanzo primario che non si era mai visto prima, un debito pubblico ancora elevato ma che ha già subìto una ristrutturazione. Detto ciò, «i recenti passi in avanti nascondono profondi problemi strutturali. Per riordinare i suoi bilanci, Atene ha imposto tasse paralizzanti sulla sua classe media, ha fatto tagli lineari a stipendi pubblici, pensioni e copertura sanitaria. Mentre i normali cittadini hanno sofferto sotto il peso dell’austerity, il governo è immobile sulle riforme significative: l’economia greca rimane una delle meno aperte in Europa e di conseguenza una delle meno competitive».
 
Da Rold sul S24: «La Grecia ancora una volta non mette in discussione l’Eurozona per le cifre in campo: si parla di interessi sul debito di 7 miliardi di euro e di un “buco” di bilancio da 2,5 miliardi di euro, secondo le stime, spesso rivelatesi fallaci, dell’Fmi. Atene fa qualcosa di molto più importante: mette l’Eurozona di fronte a se stessa. Che unione vuole essere? Un’unione di Paesi solidali o un’unione di economie costrette alla convergenza da Trattati e invii di troike a vigilare sul rispetto dei patti sottoscritti? Alla fine si potrebbe raggiungere l’accordo con una nuova linea di credito precauzionale che eviterà di rispondere alla domanda di fondo, prendendo tempo. Una risposta però che non sarà eludibile all’infinito, pena il ritorno dell’instabilità finanziaria nell’eurozona».