Corriere della Sera, 10 dicembre 2014
La crescita cinese è destinata a calare. Fino a due anni fa viaggiava al 10%, ora è al 7, ma le previsioni la portano a una media del 4 per i prossimi vent’anni. Il presidente Xi Jinping dice che bisogna abituarsi a «una nuova normalità»
Nei primi nove mesi del 2014 la Cina è cresciuta del 7,4%, lo 0,1% in meno dell’obiettivo fissato dal governo. E una parte degli economisti del mondo globalizzato ha rilanciato previsioni di sventura: l’ex segretario al Tesoro Usa Larry Summers e il suo collega di Harvard Lant Pritchett, sostengono che per i prossimi vent’anni è «storicamente inevitabile che la crescita cinese ricada nella media: circa il 4%».
Il tema è caldo anche a Pechino. Da ieri è riunita la «Conferenza centrale di lavoro sull’Economia» con i vertici del partito e le teste d’uovo dell’economia cinese. All’ordine del giorno l’obiettivo di crescita: molti esperti cinesi indicano che dovrebbe essere ridotto al 7% per il 2015, visto che il 7,5 di quest’anno difficilmente sarà centrato. E sarebbe il primo errore di previsione dei pianificatori di Pechino dal 1999. «Scendere al 7%» significa che la crescita della Cina sarebbe ancora la più forte del mondo; ma è anche vero che la generazione dei trentenni cinesi è nata e cresciuta con una corsa a due cifre, che fino a due anni fa viaggiava al 10%. Il presidente Xi Jinping dice che bisogna abituarsi a «una nuova normalità». Ma i giovani che hanno conosciuto solo il miracolo economico si accontenteranno? Banca Mondiale e Fmi restano ottimisti: prevedono il 7% fino al 2020 e intorno al 6 fino al 2025. Un rallentamento pilotato da Pechino per varare riforme, per passare dall’economia degli investimenti pubblici a una sostenuta dalla domanda interna. Summers e Pritchett basano invece la loro analisi sulla considerazione che nessun altro Paese nella storia è riuscito a mantenere la corsa per più di trent’anni: Taiwan (32 anni), Corea del Sud (29), per non parlare del Giappone che è ricaduto in recessione. Qualcuno ricorda che la Cina ha già superato la storia, perché cresce a una media superiore al 6% dal 1977: sono 37 anni.
E siccome nessun Paese come la Cina attrae pareri radicalmente discordanti, ieri che la Borsa di Shanghai ha perso il 5,4% qualcuno ha visto un’altra crepa, altri hanno ricordato che a novembre il listino aveva guadagnato il 40%. Jim O’Neill, l’economista che
ha coniato l’acronimo Bric (Brasile, Russia, India, Cina), sostiene che il gruppo dirigente di Pechino sa prevedere le crisi ed è in grado di elaborare soluzioni: «Negli ultimi due anni, mentre già rallentava, la Cina è passata da 5.900 miliardi di dollari di Pil a 8.300: è come se avesse costruito un’altra India». A proposito di India: secondo Goldman Sachs nel 2016 il suo Pil salirà del 6,8%, la Cina del 6,7%.