Il Sole 24 Ore, 9 dicembre 2014
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«Se non vende gli faccio male, gli picchio il padre». Tutte le minacce della cupola. Intimidazioni, armi e scambi
Il marketing visto con gli occhi di un criminale. Nel Mondo di sotto di Mafia Capitale persino un pesante articolo di denuncia del settimanale L’Espresso che raccontava come la criminalità si sia spartita Roma viene inteso come una buona notizia. Nell’articolo, si faceva riferimento a una divisione della capitale in zone d’influenza a opera di distinti gruppi criminali aventi a capo rispettivamente Massimo Carminati, Michele Senese, Giuseppe Fasciani e Giuseppe Casamonica. Il commento è di Carminati in persona : «..sul lavoro... sul lavoro nostro... sono pure... cose buone...bravo... se sentono tranquilli...» dice Er cecato condividendo con gli altri l’analisi e sostenendo la tesi che, si legge nelle carte dell’inchiesta, «una tale insperata “pubblicità” poteva evitare anche l’attuazione di forme di intimidazione diretta («anche se..a vorte se stai.. a parlà con la gente scappano») per sottomettere alle volontà del sodalizio gli estranei allo stesso, i quali, come affermato dal Carminati stesso, «sanno..sanno come stanno veramente le cose..». Una sorta di falsa modestia quella dell’ex terrorista nero perché dalle carte, dalle intercettazioni e dai racconti che ne fanno i pentiti lui, nel Mondo di sotto, non ha bisogno di essere presentato: basta il nome. Ed è un nome che può essere speso in ambiti veramente molto vari: dall’industria della protezione mafiosa a quello del traffico di armi, alle rapine, al traffico di cocaina. Lui, ritenuto dai magistrati promotore e capo di questa organizzazione mafiosa, può contare su relazioni importanti e ha dalla sua amicizie consolidate con esponenti della mafia siciliana, rapporti con membri della ’ndrangheta calabrese, della camorra.
Carminati, dal suo quartier generale di piazza Vigna Stelluti, opera con i suoi uomini e sa essere abbastanza convincente. Lo è, tramite Riccardo Brugia, definito dagli inquirenti braccio destro di Carminati, con il parcheggiatore abusivo Mario, da cui ottengono riservatezza con stile indiscutibile: «Guarda – dice Brugia a Mario – che noi la carta di identità te la famo dentro il cimitero». E certo basterebbe citare i tantissimi episodi di estorsioni e minacce legate al movimento per la casa a Roma, che secondo i magistrati era pilotato dall’organizzazione, per cogliere il completo controllo del territorio. Ma certamente non c’è solo questo tra le carte. Per spiegare meglio la forza intimidatoria della “cosca” i magistrati raccontano alcuni episodi. Come quello che riguarda la vicenda degli immobili che si trovano nell’area del Parco de Vejo di proprietà della famiglia Seccaroni. Carminati e Brugia ci tengono ma Luigi Seccaroni non può vendere per la contrarietà del padre Antonio e così si sfoga con un amico riferendo un colloquio con Carminati e Brugia. «Ti trovi un grande nemico ti mandamo a fuoco tutto... – dicono i due – Intanto lì non ci farai mai niente perché tu, come apri, te famo, te armiamo un casino». E in un’intercettazione successiva lo stesso Carminati, sempre a proposito di Seccaroni colpevole di non avergli fatto una cortesia, dice: «gli faccio del male. É matematico che me la doveva fare perché sennò gli vado a picchiare il padre». E di mezzi per agire i due ne avevano parecchi: ad aprile 2013 viene intercettata una conversazione nel corso della quale parlano di approvvigionamento di silenziatori, di giubbotti antiproiettili e di armi, tra le quali «una Makarov nove con silenziatore di fabbricazione russa e tre Mp5» e, scrivono gli investigatori, «della necessità di individuare un luogo sicuro ma anche facilmente accessibile, in quanto riferisce Carminati “quando mi sento aggressivo” doveva reperirle facilmente per “annà a minaccià la gente”».
In questo clima tutti sanno che è a loro che bisogna rivolgersi e lo fa anche un imprenditore che doveva costruire novanta appartamenti nel quartiere residenziale di Monteverde. E Carminati spiega, in quello che viene definito il manifesto dell’organizzazione, che l’offerta di protezione doveva essere preventiva al sorgere di eventuali problemi dell’imprenditore: «Allora qual è il discorso – spiega Carminati – che noi dobbiamo intervenire prima. Tu lo devi mettere seduto e gli devi dì: tu vuoi stare tranquillo Allora mettiamoci a...fermare il gioco...perché dopo ci mettiamo d’accordo con quelli che ti rompono. Perché qui a noi ci chiamano sempre». Gli imprenditori, dice Carminati devono essere nostri esecutori, devono lavorare per noi. Non siamo più gente che potemo fa una cosa del genere pé du lire. Non si può fare più come una volta che noi arriviamo dopo facciamo i recuperi. Perché tanto nella strada comandiamo sempre noi». Già.