La Stampa, 9 dicembre 2014
Il lato oscuro dei bio-polli. In Bassa Sassonia ci sono più polli che umani e questi ultimi non rispettano sempre le regole. Più di 330 aziende tedesche hanno più ovaiole del consentito e spesso gli allevatori pagano gli ispettori
Altro che bio-polli, bio-frutta e bio-fattorie. Un’inchiesta dello «Spiegel» dice che il settore biologico rischia di soccombere a logiche puramente commerciali e che i marchi più grandi e potenti mettono sulle nostre tavole prodotti appena più sani (o per meglio dire, meno inquinati) senza rispettare il benessere umano e animale. Per essere «bio» basta che un prodotto sia privo di pesticidi e antibiotici, ma spesso l’etichetta copre abusi su paesaggio, bestie e lavoratori. Insomma, l’agricoltura biologica è solo una scusa per far soldi.
Il prototipo del bio moderno è un’azienda da 40 mila ettari e catene di supermercati all’ingrosso. In Bassa Sassonia ci sono più polli che umani (64 milioni da allevamento), 8 milioni di galline ovaiole, 2 milioni e mezzo di bovini e 9 milioni di suini. Nel Baltico scaricano ogni anno un milione di tonnellate di azoto e 35 mila tonnellate di fosfati: una danza macabra per i pesci.
Più di 330 aziende tedesche hanno nei pollai più ovaiole del consentito: nove galline al metro quadro, contro le sei del «bio», che dovrebbero avere 3 mila ovaiole per pollaio, ma li mettono in fila come casette a schiera ed ecco bio-fattorie con 15 mila galline ammassate. Se spesso – dice lo «Spiegel» – sono gli allevatori a pagare gli ispettori, fate un po’ voi… Le aziende familiari hanno altra qualità: le mucche da latte di Martin Häusling, europarlamentare verde e allevatore biologico, pascolano in libertà e, se le chiami per nome, arrivano di corsa per farsi accarezzare; dormono sulla paglia e anziché soia e mais americano hanno foraggio ecologico a km zero. Ma i costi di produzione raddoppiano; come quelli delle galline che razzolano in un campo di mais senza mangimi convenzionali: depongono il primo uovo più tardi.
Tutta l’agricoltura dovrebbe diventare biologica, dice lo «Spiegel» e tornare al modello della fattoria: i veleni non hanno confini, il vento li porta ovunque.
Ora la Ue studia nuove regole anche per le etichette: «A questo pollo è stato accorciato il becco», «A questo maiale è stata tagliata la coda», «A questo vitello le corna», dovrebbero scrivere. Ma è la solita lotta di Davide contro Golia (a proposito, un bel libro di Dag Tessore edito da Città Nuova lo racconta): nel mondo globalizzato, dove il denaro è misura di tutto, Davide perde regolarmente.
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