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 2014  dicembre 09 Martedì calendario

I nuovi padroni dell’editoria nascono da alleanze globali. È come un risiko questo grande gioco dei libri. E anche i big italiani guardano a Europa e Usa

I primi a reagire sono stati i mercati, con il titolo Mondadori schizzato a Piazza Affari. Poi sono cominciate le voci. Non appena il Consiglio di amministrazione ha annunciato la nascita di una nuova società, separando con un taglio netto il destino dei libri da quello dei periodici, gli analisti di Mediobanca e di Kepler Cheuvreux probabilmente hanno sorriso. Da anni sostengono che il nostro mercato dei libri è troppo frammentato per difendersi dalla concorrenza dei player internazionali. Che i grandi gruppi, per resistere alla crisi economica e vincere la scommessa con il digitale, hanno un’unica strada: quella delle alleanze e delle fusioni. Mondadori, che da sola controlla il 27% del mercato italiano – anche con gli altri suoi marchi controllati al 100 per cento, e cioè Einaudi, Piemme, Sperling & Kupfer, Mondadori Education e Mondadori Electa – potrebbe sposarsi con Rcs, arrivando così a una quota del 40%.
Oppure cercare una joint venture con Bertelsmann, la multinazionale tedesca che sta creando la più grande concentrazione editoriale della storia. Potrebbe anche scegliere la via più morbida delle aggregazioni industriali, stringendo patti con competitor italiani o con società straniere. Quel che è certo è che non giocherà più da sola. Non può farlo: ai piani alti dell’editoria internazionale è in corso una partita a Risiko che ha il suo cuore in Europa. È qui, dove il libro è nato, che vivono i nuovi signori della carta. Delle cinque “big five” americane solamente Simon & Schuster e HarperCollins sono a stelle e strisce. Le altre tre sono europee: Macmillan è inglese (poi acquisita da un gruppo tedesco), Hachette è francese, Penguin Random House anglo-tedesca. I gruppi che le controllano hanno conquistato gli Stati Uniti e adesso puntano all’America latina e all’Asia. Sfidano i giganti dell’high tech, come Amazon, che rischiano di trasferire il potere da chi produce contenuti culturali a chi li distribuisce. Fanno shopping di etichette, stringono alleanze con il “nemico”, ridisegnano la geografia mondiale dell’editoria. E allungano la loro ombra anche sull’Italia.
C’è una data di inizio a tutto questo: 29 ottobre 2012. Il giorno del matrimonio tra Penguin e Random House. La prima, passata alla storia per avere inventato negli anni Trenta i tascabili, romanzi di qualità a sei pence, allora l’equivalente del prezzo di un pacchetto di sigarette, apparteneva a Pearson, editore inglese che controlla il mercato dei testi scolastici in 80 paesi. La seconda a Bertelsmann, uno dei gruppi mediatici più potenti al mondo. Le due case madri quel giorno annunciano la nascita della Penguin Random House: dodicimila dipendenti in 23 paesi dei cinque continenti ed entrate per più di 3,5 miliardi di dollari, una fabbrica in grado di pubblicare 15mila titoli l’anno e di tenere nella stessa scuderia i grandi signori dei bestseller, da Dan Brown a Khaled Hosseini, da John Green a E. L. James.
La fusione dà il via al Grande Gioco mondiale dell’editoria: uno dopo l’altro anche gli altri grandi gruppi cominciano a stringere alleanze, a vendere o a comprare. I primi mesi del 2014, secondo Publisher Weekly, sono uno dei periodi più agitati dall’inizio della crisi economica. Martin Levin, l’intermediario che a maggio cura l’acquisizione da parte della Rowman & Littlefield della casa editrice indipendente inglese Globe Pequot Press, spiega che i piccoli marchi «stanno uscendo dal mercato perché hanno capito che questo è il momento giusto» e che le imprese più grandi ne possono approfittare per raggiungere dimensioni adeguate ai nuovi scenari globali. La tendenza non è quella di espandere il ventaglio di interessi, ma di consolidare quelli in cui sono più forti. Ad aprile Cengage Learning, un editore del Nord America, viene rilevato da Chapter 11 mentre Harper Collins, controllata dalla News Corp di Murdoch, si dà ai romanzi rosa acquisendo la casa editrice Harlequin. Hachette, prima di essere coinvolta nel durissimo braccio di ferro con Amazon, tenta di inglobare il Perseus Books Group. Lo stesso Murdoch, dopo avere fallito l’acquisizione di Penguin, sembra mettere gli occhi sulla Simon & Schuster.
L’elenco redatto dalla rivista conta 24 operazioni concluse in sei mesi. Il mercato è di nuovo dinamico e anche in Italia qualcosa comincia a muoversi. Il primo editore a scendere in campo è proprio la Mondadori che, costituendo una società di soli libri, mette nero su bianco i suoi obiettivi: «Realizzare una struttura societaria più funzionale al potenziale conseguimento, in un’ottica di sviluppo, di opportunità di partnership e aggregazioni industriali volte allo sfruttamento di economie di scala e di scopo». Resta il mistero sui futuri soci. In passato le banche d’affari che avevano studiato i matrimoni di settore in Italia si erano sbilanciate su Feltrinelli ed Rcs. Ma la prima è fuori dai giochi anche per la ferma opposizione di Inge Feltrinelli e si muove in altre direzioni, ad esempio alleandosi con Messaggerie italiane per creare un unico grande polo di distribuzione (l’ok dell’Antitrust è di pochi giorni fa). La seconda è tirata per la giacchetta dagli analisti di Mediobanca Securities: «Una partnership consentirebbe di ottenere sinergie significative – hanno dichiarato a Milano finanza – ed eventualmente la newco che si realizzerebbe potrebbe essere aperta a nuovi soci per considerare un processo di quotazione. Vedremmo positivamente una potenziale integrazione con la divisione libri di Rcs». Che non è intoccabile: dopo avere ceduto Flammarion per 251 milioni ad Antoine Gallimard, ha lasciato andare per la sua strada anche Skira, l’editore che alla pubblicazione di cataloghi, monografie d’artista e saggi affianca quella di produzione di mostre. Che sia la principale “indiziata” non significa per forza che debba scomparire tra le braccia di Mondadori, come si è ironizzato su Twitter. Nei dossier che da tempo circolano sulle scrivanie degli amministratori delegati dei grandi gruppi editoriali, si avanzano ipotesi meno drastiche. Gli analisti della PricewaterhouseCoopers (PwC) in uno studio che si proietta fino al 2018, consigliano l’accorpamento di alcuni asset e la cessione di altri non più redditizi. In che modo? Lo studio si limita a mettere in luce le criticità, ma seguendo quel ragionamento si può ipotizzare che Rcs e Mondadori (col suo “pezzo” più pregiato, Einaudi) trarrebbero benefici da una eventuale aggregazione dei marchi scolastici così come dalla vendita delle etichette professionali, uno dei pochi settori in Italia dove i gruppi internazionali, da Pearson a Wolters Kluwer, hanno messo radici.
Joint venture internazionali per la narrativa sembrano più complicate. Bertelsmann, che in passato è già stato partner di Mondadori e che ancora oggi è socio nei periodici Focus e Geo tramite la controllata Gruner+ Jahr, sta facendo incetta di case editrici un po’ ovunque. Quando due anni fa è diventato proprietario unico della spagnola Mondadori Random House, liquidando il 50% che era in mano al gruppo di Segrate, ha svelato il suo disegno: conquistare l’America latina. Proposito rafforzato a luglio con l’acquisto del segmento trade del marchio Santillana Ediciones Generales.
L’Italia rientra nella campagna acquisti? Difficile dirlo, il nostro mercato ai suoi occhi è molto piccolo, ma è anche vero che il mondo dei libri è attraversato da una rivoluzione dei contenuti: sempre più storie nascono per essere raccontate su più media, l’editore sta diventando produttore di un universo narrativo che racchiude, fin dall’inizio, serie televisive, contenuti web, audio-racconti, film. In questo scenario la Mondadori e Bertelsmann – o altri editori internazionali – potrebbero siglare nuove alleanze. Siamo solo all’inizio, il Risiko è in corso, la mappa mondiale dell’industria del libro non è ancora definita.