la Repubblica, 9 dicembre 2014
Qualcuno degli spettatori più importanti della Scala, negli smoking impeccabili, è stato un po’ turbato: quel Fidelio ambientato nel cortile e nei sotterranei di una crudele prigione, non porterà gramo a Milano, pensando ai tanti ultimi arresti di conoscenti a Roma? Scusate, e Beethoven? Risposta di esperti: grandioso ma un po’ lento, poi troppo buio e gli sposi ritrovati mai un bacio, questa volta etero
Un Sant’Ambrogio alla Scala come tanti, con la polizia in assetto di botte, tre volte più abbondante dei bastonati dei centri sociali che sono stati dispersi prima dell’arrivo dei “privilegiati”, come li chiamavano urlando i manifestanti tra fumogeni e sassi.
“Privilegiati” che non hanno fatto quindi a tempo ad accorgersi del casino, di cui poi li hanno edotti i loro iPhone accesi sotto la poltrona. Altro che le storiche uova marce del ’68, quelle sì un mito di quasi mezzo secolo fa, sconosciuto quindi alla folla di signore spinte sul tappeto rosso del teatro e impegnate a difendere i loro strascichi (molto calpestati) come non se ne erano visti da anni. Novità che ha infastidito i cronisti o certi critici mai contenti: alla fine di questo “Fidelio”, nessun tradizionale fischio o boato, tipico delle prime scaligere, ma un furore di applausi soprattutto dal loggione, e poi tutti in piedi anche in platea, man mano che i cantanti sudaticci si inchinavano sotto la pioggia di fiori, figuriamoci al colpo di scena finale, quando, chiuso e riaperto il sipario, sul palcoscenico è apparsa tutta l’orchestra e in mezzo a loro il direttore Barenboim.
Si sa come sono i milanesi, non solo i loggionisti, ma anche i poltronisti e i palchisti e i critici e qualche amministratore cittadino più molti invidiosi generici: prima si innamorano di un sovrintendente, di un direttore d’orchestra, di un cantante, poi se ne stufano (persino della Callas!): non parliamo dei registi che se non sono Zeffirelli o suoi epigoni vengono sempre ingiuriati. Eppure la regista inglese Deborah Warner e la scenografa e costumista di origine greca Chloe Obolensky, malgrado i mugugni di qualche purista, sono anche loro state accolte con giubilo, per Barenboim poi un clamore amoroso, in parte da chi lo ha come sempre apprezzato, in parte perché se ne va e si può quindi rincuorarlo.
Questo Fidelio appartiene ancora all’era del sovrintendente Lissner, ma ha inaugurato l’era del nuovo sovrintendente Pereira felice del grandioso successo e del nuovo direttore musicale Chailly, ieri sera assente. Poi si sa il pubblico, questa volta particolarmente elegante, (poco oro e pochi sederi fuori) con molti stranieri di grande peso finanziario e mondano, veniva intervistato sullo stilista dell’abito se donna, sulla “stravaganza” dei costumi non d’epoca (jeans, giubbotti, tute, caschi) se uomo, dimenticando di aver fatto le stesse domande per l’inaugurazione dello scorso anno con una Traviata non certo ottocentesca, fischiata (“Alfredo fa la pizza!”) e a una grande quantità di opere ovunque attualizzate. E alla Scala fischiate solo alla prima. Tentativo polveroso e tortuoso di scandalo.
Fidelio sarebbe un uomo trattandosi però di Leonore (interpretata da una cantante donna) travestita per poter entrare nella prigione dove è rinchiuso ingiustamente il marito Florestan. Marcelina, figlia del capocarceriere, (anche lei una cantante donna) probabilmente molto miope, si innamora di Fidelio credendolo uomo e bacia Leonore: bacio saffico! Mormorano felici i meno melomani. Qualcuno degli spettatori più importanti, negli smoking impeccabili, è un po’ turbato: quel Fidelio ambientato nel cortile e nei sotterranei di una crudele prigione, non porterà gramo a Milano, pensando ai tanti ultimi arresti di conoscenti a Roma? Scusate, e Beethoven? Risposta di esperti: grandioso ma un po’ lento, poi troppo buio e gli sposi ritrovati mai un bacio, questa volta etero.