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 2014  dicembre 09 Martedì calendario

Il caso del piccolo Loris. È stata la madre ad uccidere il figlio o copre l’assassino? L’infanticidio da Medea a True Detective

 Nel giorno dell’Immacolata, l’archetipo positivo della Madre per eccellenza, in un pomeriggio di festa inondato di luminarie, per le strade di un paese che tenta di aggrapparsi a una normalità fatta di addobbi natalizi, di alberi decorati, di carta rossa e nastri dorati che avvolgono i regali, in un paese che al tramonto inizia a brillare come un porto sicuro sperso al centro una campagna buia e minacciosa, abitata dai mostri della fantasia che a volte si fanno strada nella nostra realtà, ecco apparire all’improvviso l’ombra dell’altra madre, la madre infanticida, quel tabù contro il quale si scontra la nostra civiltà insieme cattolica e razionale. Un tabù che la cultura greca classica aveva cercato di affrontare, metabolizzare e raccontare in numerosi miti, il più famoso dei quali è quello di Medea, e di fronte al quale la nostra cultura continua a restare scioccata, esterrefatta.
Proprio come nella sceneggiatura di True Detective, serie televisiva che scava negli anfratti della psiche e dei suoi molteplici labirinti, in una Louisiana in cui la religione si mischia a una natura selvaggia, paludosa, rettiliana, qui, a Santa Croce di Camerina, il giorno dell’Immacolata fa da sfondo a una storia in cui si intreccia una profonda religiosità cattolica, come solo da queste parte può trovarsi, e qualcosa che viene da lontano, da una cultura pagana avvezza alla possessione, alla follia, agli déi crudeli che attraverso le menti impazzite degli uomini e delle donne compiono le loro vendette sanguinarie.
C’è qualcosa che nessuno ha detto: nel Gargantua e Pantagruele, romanzo sanguinario al limite del parossismo satirico di Rabelais, Santa Croce di Camerina viene citata, «Ne movere Camarinam», con il significato di «Non smuovere le acque della palude». Santa Croce di Camerina sorge sopra una palude, dove gli alligatori, come nella tradizione greca, prendono le forme degli uomini, déi crudeli che portano il caos nelle menti.
Al tramonto, quando il tramonto avvolgeva la “civiltà”, tracciandone i confini tra il buio e le luci artificiali e colorati, le sirene delle forze dell’ordine hanno squarciato il cielo, uno di quei lampi improvvisi che promettono l’irrompere di una realtà “altra”, folle, posseduta, misteriosa, bestiale, artigli che si protendono come le ombre degli alberi di mandorla: mani da strega.
Ma c’è di peggio, in questa storia da profondo sud, non dissimile da quella di Cogne (dove la follia pagana trova le sue radici nella mitologia celtica): le volanti hanno prelevato e portato in questura sia la madre del piccolo Loris, Veronica Panarello, che il padre, Davide Stival, mentre la voce che si rincorre nel corso principale del paese, affollato come nei giorni di festa, racconta sottovoce che gli assassini di Loris potrebbero essere due, scenario che apre a un orrore se possibile ancora più osceno: Veronica Panarello coprirebbe gli assassini di suo figlio, ipotesi che all’orrore della follia irrazionale aggiungerebbe un elemento di spietata lucidità, di tornaconto, di un egotismo di fronte alla quale la nostra cultura (e la nostra mente) vacilla.
C’è un’altra ipotesi, al vaglio degli inquirenti in questi momenti: il terrore. Il terrore di una donna immersa in una cultura atavica in cui tacere è la norma, l’omertà una manifestazione di fedeltà alla “famiglia”, e il mutismo (o il suicidio) l’unica arma di difesa. Quelle fascette di plastica che la mamma ha consegnato alla maestra mentendo sul fatto che dovessero servire a un compito per la scuola, erano un tentativo di denuncia? E dov’è la tana di questa bestia, di questo alligatore, che Veronica sta tentando di denunciare, eppure continuando a coprirlo? Dentro o fuori di lei?
È solo una storia di orrore? O una storia insieme di orrore e di terrore?
È per questo motivo che Veronica Panarello, nella procura di Ragusa, continua a essere sentita, per l’ultima volta, come “persona informata dei fatti”, ma è già pronto il provvedimento di fermo. La consegna delle fascette, un buco temporale di parecchi minuti, menzogne sui percorsi compiuti in automobile quella mattina, la sosta vicino al “mulino nero”, sono goffe menzogne di un’infanticida, o tentativi di denuncia soffocati dal terrore?