Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  dicembre 09 Martedì calendario

Il ladro pentito della Galleria d’arte moderna di Roma: ruba la testa di Medardo Rosso e poi la fa riapparire in un armadietto del museo. Il bronzo era avvolto nella carta di giornale

Quando apre l’armadietto “86”, l’addetto alla sorveglianza non crede ai suoi occhi. Il “Bambino malato” di Medardo Rosso, mezzo milione di euro per un piccolo capolavoro che fonde impressionismo e bronzo, è lì. Avvolto nella carta di giornale come si faceva un tempo con le uova. Il ladro, dopo averlo “prelevato” tre giorni prima, lo ha riportato indietro. Lo ha riportato, alla Gnam. Alla Galleria nazionale d’arte moderna che imponente si staglia sui monti Parioli, il più chic tra i quartieri della Capitale.
Perché restituirlo? Siamo di fronte a un Arsenio Lupin pentito? O troppo spaventato per il clamore che il furto ha suscitato? O chi venerdì si è portato via la scultura è un mitomane pronto a dimostrare che rubare in un museo può diventare un gioco da ragazzi? Le piste, al momento, sono tutte aperte. E le indagini degli inquirenti, accorsi dopo quell’urlo liberatorio del custode «l’ho trovato!» vanno in molte direzioni. Il riserbo, tra i carabinieri per la Tutela al patrimonio e quelli della compagnia Trionfale accorsi per primi, è incrollabile: «Qualsiasi informazione può aiutare il ladro». Nell’attesa che si faccia luce, però il ministero ha avviato una indagine interna per chiarire alcuni punti. Per capire qual è stata la falla. Come sia stato possibile che l’opera di fine Ottocento dell’artista italiano, super quotato tra i collezionisti newyorchesi, abbia preso il volo così facilmente.
Al momento l’unica sicurezza è che, per la modalità del “prelievo” e per la beffa del ritrovamento, questo furto rimarrà nella storia della Gnam, che già 16 anni fa era stata depredata di due Van Gogh e un Cézanne da una banda armata. Con tanto di addetti alla sicurezza legati e imbavagliati. Stavolta invece la sparizione è avvenuta in modo molto soft. A raccontare della scomparsa del “Bambino malato” ci hanno pensato le telecamere piazzate nella sala al secondo piano del museo: riprendono un signore in giacca e cravatta che si avvicina all’opera appoggiata su una stele, l’afferra e nel giro di pochi secondi la fa sparire dentro la custodia di una grossa macchina fotografica che tiene al collo. «Si è spacciato per un giornalista arrivato al seguito di una mostra in fase di inaugurazione», ha raccontato uno dei custodi.
Nessun allarme, nessuna sirena. In effetti nel museo che raccoglie i De Chirico, i Warhol, i de Pisis, i sensori alle pareti non sono tanti. E chiunque più toccare un Burri o un Balla senza che nessuno se ne accorga, perché la sirena scatta raramente. Gli addetti alla sorveglianza sono pochi. «Siamo in tre per quindici sale, se sono in una stanza non posso controllare quella accanto», aveva spiegato un sorvegliante il giorno dopo il furto, quando tutti erano ancora molto scossi e il nervosismo tra i dipendenti alle stelle. Con l’area della sparizione transennata col nastro rosso e bianco come si fa sugli omicidi. E gli investigatori pronti a mettere tutti sotto torchio.
Ieri, quando il ladro ha riportato indietro il maltolto, l’atmosfera alla Gnam era più rilassata. Ma sull’accaduto, le bocche ancora più cucite. A parlare, invece tre armadietti all’entrata dove i visitatori lasciano le borse. Sono senza più sportelli. Prelevati per le indagini dagli investigatori. Domenica scorsa nella Galleria, come in tutti i musei d’Italia, c’è stato il gran pienone, si entrava gratis. E forse tra quel boom di appassionati d’arte che si è mimetizzato il ladro pentito, tornato sulla scena del delitto per lasciare il suo “Bambino”.