Corriere della Sera, 9 dicembre 2014
Grothendieck, il genio che racchiudeva arte, filosofia e impegno civile. La vita tormentata del matematico che ripudiò la scienza. Da Berlino ai Pirenei, passando per i campi di prigionia e la rivoluzione hippie
Da piccolo ebreo perseguitato a pioniere della matematica Poi il rifiuto dei premi, la rivolta, la scelta dell’isolamento
Alexander Grothendieck, il genio della matematica morto a 86 anni il 13 novembre scorso, è stato un immenso scienziato, ma aveva ripudiato la scienza. Dalla Berlino dei rifugiati anarchici russi alla vita da eremita in un paesino dei Pirenei, passando per i campi di prigionia, il maggio del 1968 e la rivoluzione hippie, Grothendieck ebbe una vita tormentata e talvolta avventurosa, ma non usò mai le formule per rifugiarsi lontano dalla realtà. Come illustra il libro Matematica ribelle, in edicola con il «Corriere», preferì piuttosto rinunciare alla ricerca, quando ebbe la sensazione che il suo genio avrebbe avuto conseguenze pratiche incontrollabili, attraverso usi in campo militare che giudicava possibili e ignobili.
Alexander nacque il 28 marzo 1928 a Berlino, dove visse fino al 1933 con la mamma giornalista Hanka, il papà anarchico russo Sascha e Maidi, la sorella da parte di madre. Fu un periodo decisivo per la costruzione della sua personalità, e in positivo: «I primi cinque anni della mia vita rappresentano un privilegio di enorme valore. Dedicavo un’ammirazione e un amore sconfinati sia a mio padre che a mia madre», scrive nella sua monumentale autobiografia – pubblicata nel 1987 in tiratura confidenziale, ma oggi disponibile su Internet – Récoltes et semailles («Raccolti e semine»).
L’incanto venne interrotto dall’ascesa al potere dei nazisti, ma ancora di più dalla reazione dei suoi genitori: decisero di lasciare i bambini in Germania, e di trasferirsi in Francia. Poi parteciparono alla guerra civile in Spagna. Alexander raggiunse la madre solo nel 1939, quando restare in Germania da figlio di padre ebreo era ormai impossibile. Dopo l’occupazione nazista della Francia, suo padre venne deportato e morì ad Auschwitz. Al liceo Cévenol di Chambon-sur-Lignon il pastore Trocmé cercava di salvare quanti più studenti ebrei fosse possibile. «La polizia locale ci avvertiva quando stava per arrivare una retata della Gestapo – ricorda Grothendieck —, e allora andavamo a nasconderci nei boschi per una notte o due, in piccoli gruppi, senza renderci conto fino in fondo che non era un gioco, ma che si trattava della nostra pelle».
Alexander ottiene il diploma di Baccalauréat e va a Montpellier a studiare, finalmente, matematica all’università. Poi a Parigi, e infine a Nancy, dove incontra Laurent Schwartz, il più grande matematico del tempo. Qui arriva l’aneddoto che non può mancare nella biografia di un genio. «Io e Jean Dieudonné (altro grande matematico, ndr ) avevamo 14 problemi che non riuscivamo a risolvere – raccontò Schwartz —. Dieudonné propose a Grothendieck di sceglierne uno e di pensarci su. Pensavamo fosse uno spunto per anni di lavoro, ma dopo poche settimane Grothendieck tornò da noi con la soluzione di oltre la metà! Eravamo stupefatti».
All’inizio degli anni Cinquanta Grothendieck è già una star indiscussa nella sia pur ristretta cerchia dei matematici. La sua personalità deborda di energia e di talento, gli allievi sono increduli. «Aveva un ritmo infernale – racconta Michel Demazure, che sostenne la sua tesi con Grothendieck —. Si dedicava alla matematica da 16 a 18 ore al giorno, per lui tutto era legato: il percorso era altrettanto importante del traguardo. Il suo motto era nessuna concessione, nessuna economia, nessuna scorciatoia!».
Nel 1957 la morte della madre Hanka: Grothendieck cade in depressione per mesi. Il rapporto con lei, il ricordo di quei primi cinque anni di vita felici, sono stati fondamentali per il carattere del grande matematico, che combatterà tutta la vita con il paragone irraggiungibile di quel paradiso perduto.
La svolta nella sua carriera arriva grazie all’iniziativa e alla visione di Léon Motchane, un industriale di origine russa che fonda in Francia l’Institut des hautes études scientifiques (Ihes) sul modello dell’Institute for Advanced Study creato negli anni Trenta a Princeton per permettere ad Albert Einstein di proseguire le sue ricerche negli Stati Uniti.
All’Ihes Grothendieck, Dieudonné e Jean-Pierre Serre animano un seminario matematico passato alla storia, per l’ambizione di fondere geometria algebrica, aritmetica e topologia algebrica. Nel 1966 a Grothendieck viene attribuita la Medaglia Fields, sorta di premio Nobel per la matematica. Il figlio di un anarchico russo dovrebbe andare a Mosca, al Congresso mondiale delle matematiche, per ritirare il premio, ma rinuncia «per protesta contro il trattamento inflitto dai sovietici agli scrittori dissidenti Sinjavskij e Daniel».
Nel 1970 Grothendieck abbandona l’Ihes, luogo dei suoi trionfi: ha scoperto per puro caso che è finanziato in parte dal ministero della Difesa francese. Il contributo dei militari è limitato, pari all’incirca al 5 per cento del bilancio dell’Istituto. Ma questo basta a convincere Grothendieck che deve abbandonarlo, se non vuole tradire i suoi principi. È un grande punto di non ritorno.
Se le intuizioni di Albert Einstein hanno portato alla bomba atomica, Grothendieck si rifiuta di correre lo stesso rischio e abbandona le ricerche teoriche nella matematica. Si dedica sempre di più alla spiritualità, alla meditazione. Fonda una comune nella sua casa nel Sud della Francia, diventa un guru per decine di giovani che cercano modi di vita vicini alla natura e lontani dal consumismo.
Al maggio 1988 risale la sua ultima apparizione, perché l’Accademia reale delle scienze di Svezia gli attribuisce l’importante premio Crafoord. Lui, naturalmente, rifiuta l’onorificenza e la somma consistente che la accompagna, perché «lo stipendio da professore è più che sufficiente per i miei bisogni materiali». Più tardi, nel 1991, a 63 anni, Grothendieck sparisce dalla vita pubblica. Si ritira in un paesino dei Pirenei, Lasserre, lontano da tutti, ossessionato dalla paura che i suoi lavori vengano travisati, copiati, destinati a scopi inaccettabili. Il 3 gennaio 2010 scrive di suo pugno una lettera all’allievo Jean Malgoire, nella quale chiede che le migliaia di pagine delle sue ricerche, ancora inedite, restino tali.
Ora che Grothendieck è morto, il suo tesoro, 20 mila pagine di appunti, giace in uno sgabuzzino della facoltà di Montpellier. Una giuria di eminenti matematici potrebbe dichiararlo «patrimonio nazionale», in modo da metterlo a disposizione della comunità scientifica. Ma bisognerebbe decifrare quelle formule. «Ci vorranno cinquant’anni – dice il suo allievo Michel Demazure – o un altro Grothendieck».