la Repubblica, 9 dicembre 2014
Un’altra vittima del base jumping sul Brento, il monte maledetto. Leonardo Piatti è la terza persona morta in volo quest’anno. «Quella parete è pericolosa, ma non possiamo vietare i lanci»
Tre morti dall’inizio del 2014, una quindicina negli ultimi vent’anni, l’ultimo ieri mattina quando Leonardo Piatti, 39 anni di Pesaro, si è schiantato sulle rocce del Monte Brento (Trentino) invece di volare con il suo paracadute. Lavorava per una società autostradale, ma sognava di librarsi nell’aria con la sua tuta da “uomo volante”. Era venuto in Trentino assieme alla moglie per lanciarsi nel vuoto, è morto mentre lei stava facendo una passeggiata con gli amici.
Con le croci dei base jumper che hanno perso la vita sul Brento si potrebbe riempire un piccolo cimitero di montagna. Prima di Piatti era morto un paracadutista messicano, era l’agosto scorso, e poi una ventenne russa, ma è lunga la lista di questo sperone di roccia in Trentino che pare fatto apposta per il base jumping, con la parete che rientra come a formare un gigantesco trampolino naturale.
Arrivano qui da tutto il mondo, in un anno si contano fino a 3-4 mila lanci. E ieri – giornata splendida dopo settimane di pioggia – i lanci sono continuati anche dopo la tragedia, almeno nei pochi minuti prima che arrivasse l’elicottero per i soccorsi (purtroppo inutili) a impedire i voli. Tutto per nove secondi di caduta libera: quelli che trascorrono dal momento del lancio all’apertura del paracadute. Ieri lassù c’era anche Maurizio Di Palma, uno dei guru di questo sport che consiste nel lanciarsi nel vuoto da postazioni fisse con un paracadute. Uno che si è lanciato pure dal Duomo di Milano (in barba alla polizia) e che dal Brento è volato un migliaio di volte. Di Palma conosceva Leo Piatti: «Siamo pochissimi in Italia a praticare questo sport – spiega – e ci conosciamo tutti. Purtroppo si è trattato di un errore umano: ha usato una tuta “deriva” che consente prestazioni inferiori rispetto a una “tuta alare” ed è rimasto troppo vicino alle rocce».
Sul Monte Brento c’è pure una lapide con i nomi delle prime vittime. Doveva essere un avvertimento, ma la lista di quelli che ci hanno rimesso la vita è continuata a crescere. Lo stesso Di Palma è convinto che serva un intervento: «Stiamo fondando un’associazione che possa essere un punto di riferimento per chi vuole lanciarsi dal Brento – continua – perché troppe tragedie potevano essere evitate con più preparazione e maggiori informazioni». Ma di divieti nemmeno a parlarne: «Allora dovrebbero vietare tutte le montagne».
Già nel 2001 la Provincia autonoma di Trento tentò di vietare – senza successo – i lanci dal Brento. «Ma – riflette ora il governatore Ugo Rossi – l’istituzione di un divieto potrebbe alimentare la voglia di trasgressione». Vittorio Fravezzi è senatore e sindaco di Dro, il comune in cui si trova la vetta del Brento: «Questa lista di morti non ci fa certo piacere e negli ultimi dieci anni abbiamo studiate tutte, ma pare che non ci sia la possibilità giuridica di vietare o limitare i lanci da questo monte. Anche perché non avrebbe senso introdurre un divieto senza la possibilità di farlo rispettare». E fa notare che se ci fosse una norma l’amministrazione pubblica potrebbe essere esposta a richieste di risarcimento. Intanto le squadre del soccorso alpino si tengono pronte: tre vittime nell’ultimo anno, decine di feriti e di interventi, non passa settimana che dal Brento arrivi una richiesta di soccorso.