Corriere della Sera, 9 dicembre 2014
«Se è stata lei ad uccidere Loris deve solo dirmi il perché, e poi per me può morire, io voglio solo mio figlio». Così Davide Stival a proposito della moglie Veronica
«Se è stata davvero lei mi cade il mondo addosso, non ci posso credere...». Una frase detta agli investigatori, durante le ore passate in Procura assieme alla moglie, che ormai è l’ombra della ragazzina che mise incinta e sposò nove anni fa. Una delle poche uscite finora dalle labbra di Davide Stival, 29 anni, camionista al Nord, raggiunto sul suo Tir quel sabato maledetto dalla notizia della scomparsa di Loris, che non è mai comparso sulla trincea dei cronisti assiepati davanti casa sua per una dichiarazione, o una ricostruzione, per una precisazione o una smentita. Ma ieri, pietrificato dalle contraddizioni emerse in Procura: «Deve solo dirmi il perché, e poi per me può morire, io voglio solo mio figlio». Fino a ieri le era sempre stato accanto. Muto. Sempre muto, se fatta eccezione per uno sfogo veicolato attraverso l’avvocato scelto per l’occasione: «Lasciate mia moglie in pace, non prendetevela con noi, siamo una famiglia perbene. Noi non ci dobbiamo difendere da niente, non abbiamo nulla da nascondere...». Anche se non aveva mai smentito in prima persona una frase attribuitagli da una sua zia, Antonella Stival, la sorella di suo padre: «Perché prendersela con mio figlio? Questa volta lo ammazzo con le mie mani...». Parole attribuitegli al primo contatto con gli inquirenti. Sfogo ermetico, ufficialmente negato, ma capace di rilanciare in paese una raffica di chiacchiere sulla famiglia della moglie e sulla stessa mamma. E lui che sarebbe potuto esplodere davanti a qualsiasi telecamera s’è materializzato ancora una volta attraverso l’avvocato: «Cerchiamo soltanto la verità, perché noi vogliamo che venga trovato non “un” colpevole, ma “il” colpevole. Per il resto, le voci di cortile e le bugie ci hanno feriti e uccisi». Una sola persona estranea alla famiglia l’aveva finora avvicinato, il presidente della Regione Siciliana Rosario Crocetta quando, a ventiquattro ore dalla scoperta del corpo, andò a casa Stival, descrivendo quest’uomo chiuso in sé, non una parola, non un cenno, «un silenzio che urla».