La Stampa, 9 dicembre 2014
Tags : Mafia Capitale
«Quelli che hanno un’anima se ne vanno, è inevitabile...Per me Roma è tutto, il luogo che non vorrei mai abbandonare, ma anche la città dove, alla seconda pioggia, l’asfalto si spacca, dove in piena estate, a luglio, gli alberi hanno un aspetto malato, dove i marciapiedi sono sempre sgretolati, una città opaca, ben lontana da quella celebrata da Tito Livio, ormai siamo una cloaca». Parla Carlo Verdone
La Roma degli ultimi giorni, corrotta e criminale, provoca in Carlo Verdone «senso di scoramento» e forte preoccupazione: «Se continuano a scoppiare scandali di questa portata, ci dobbiamo aspettare tumulti di piazza, ma quelli veri. Io per strada ci vado, dal barbiere, dal benzinaio, allo stadio, e avverto il clima diffuso. Non c’è più spazio per l’ironia, c’è solo rabbia, indignazione, voglia di reagire. La gente si chiede “Ma chi diavolo abbiamo messo lì, a comandare?”».
Secondo lei come si è arrivati a questo punto?
«Una grossa parte della classe politica, non tutta ovviamente, è di bassissima qualità, e quindi facilmente abbordabile dalla malavita. Il politico dovrebbe essere una persona seria, autorevole, dovrebbe aver seguito un corso di etica, essere animato da grande passione, aver fatto bene l’università e conoscere a fondo la letteratura italiana...Mi è capitato che un politico, uno in vista, che fa comizi, mi si rivolgesse dicendo “se io dovrei darle un consiglio, caro Verdone...”».
Nella «Grande bellezza» lei interpreta il personaggio di un puro che infatti, alla fine, decide di abbandonare la capitale.
«Quelli che hanno un’anima se ne vanno, è inevitabile...Per me Roma è tutto, il luogo che non vorrei mai abbandonare, ma anche la città dove, alla seconda pioggia, l’asfalto si spacca, dove in piena estate, a luglio, gli alberi hanno un aspetto malato, dove i marciapiedi sono sempre sgretolati, una città opaca, ben lontana da quella celebrata da Tito Livio, ormai siamo una cloaca».
Il cinema ha raccontato spesso gli aspetti deteriori della capitale, ma stavolta la realtà va molto oltre.
«Sì, le commedie hanno descritto l’aspetto cialtrone, Sordi lo ha fatto spesso, ma quelli di “Un giorno in pretura” erano ladri di galline... adesso è tutto diverso, siamo diventati impermeabili a qualunque cosa, prima se c’era un delitto se ne parlava per anni, penso ai casi Montesi, Bebawi...».
Roma è anche la culla della religiosità.
«Certo, c’è il papa, c’è San Pietro, la Chiesa secondo me dovrebbe intervenire. Bisognerebbe riflettere sul fatto che nelle case di molti delinquenti si ritrovano sempre il Vangelo e l’immagine di Padre Pio, forse pensano che poi c’è sempre l’assoluzione, e invece non si può perdonare tutto. Speculare sui campi rom è una cosa bieca, infima».
La capitale in cui lei è cresciuto era differente.
«Sì, e provo tanta nostalgia per quell’epoca, Anni Sessanta in cui venivano fuori politici preparati e non improvvisati come ora. Un ragazzino di 12 anni, adesso, è costretto a crescere in un clima di tensione, di malessere e di insicurezza continui. Tutto questo ha un riflesso, proprio sui giovani, sui disoccupati, che avvertono il disfacimento etico, che vedono scorrere questo flusso di denaro illecito e intanto devono combattere per ottenere un contratto di lavoro di 3 mesi, oppure, per trovare un impiego, sono costretti a emigrare. E dire che noi dovremmo essere un Paese economicamente fortissimo, grazie alla cultura e al turismo. Invece continuiamo a dissipare, a lasciare le opere d’arte nel degrado... ma se si fanno cascare Pompei e la Domus Aurea vuol dire che alla guida non ci sono persone adatte, politici capaci di imporsi. Abbiamo visto che quelli che avevamo andavano bene per fare le scommesse ai cavalli oppure al casinò».
Che cosa si potrebbe fare per migliorare la situazione?
«C’è un detto latino “gli stati più corrotti sono quelli dove abbondano le leggi”. Noi siamo campioni di legislazione, di comma e sottocomma, la burocrazia è talmente complicata e terrificante che porta alla corruzione».