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 2014  dicembre 09 Martedì calendario

L’Italia non dovrebbe illudersi di farcela senza euro o senza le regole europee e la Germania dovrebbe smettere di essere così rigida. Gli errori di Roma e Berlino

In Germania, parlar male dell’Italia è un espediente efficace per nascondere il fiato corto del successo tedesco. In Italia, parlar male della Germania serve benissimo a sviare l’attenzione dai guai di casa, i giovani senza lavoro come lo scandalo romano. Purtroppo, dato che la politica francese rimane in stato confusionale, il dibattito nell’area euro rischia di ridursi a questo.
Volendo essere ottimisti, la reciproca diffidenza potrebbe diventare incentivo a comportarsi meglio. Però gli strumenti sono rozzi, se per pungolare il governo italiano alle riforme (cosa necessaria) si continua a minacciarlo, come ieri all’Eurogruppo, perché non adotta una ricetta in questo momento inadatta (le regole di bilancio del «Fiscal Compact»).
Con un passo avanti, il documento approvato a Bruxelles almeno condona all’Italia il mancato rispetto della regola del debito. 
Continua invece a insistere sull’«obiettivo di medio termine» di calo del deficit. Il limite delle regole per governare l’area euro è appunto che sono severe dove in questo momento meno serve, e lo sono poco nei campi dove è oggi urgente agire.
Magari avessimo strumenti più efficaci – come quelli sollecitati da Mario Draghi – per spingere sia la Germania a correggere ciò che il resto del mondo le rimprovera (eccesso di risparmio e carenza di investimenti) sia l’Italia a mettere ordine in casa propria. Non li abbiamo, e per evitare di infilarci in circoli viziosi occorre un sovrappiù di inventiva.
Da entrambe le parti è necessario resistere alla tentazione di indicare colpevoli di comodo. Nel nostro caso, significa non illudersi che senza regole europee, o addirittura senza euro, staremmo meglio. L’alto debito italiano resterebbe un fardello in qualsiasi situazione immaginabile, e se smettessimo di pagare il 60% del danno cadrebbe su noi stessi.
Può essere interessante guardare al Giappone, Paese diversissimo dal nostro ma che paradossalmente incarna alcuni sogni della politica italiana. Ha un debito pubblico ancora più elevato ma stabile perché in moneta nazionale e detenuto in grandissima parte all’interno. Dunque senza immediati rischi può spendere in deficit nel tentativo di rilanciare l’economia.
Eppure è da lunghi anni che la ricetta del deficit non funziona; continua a nutrire una classe politica – assicura chi conosce entrambi i Paesi – non migliore della nostra. Per di più, di questi tempi la Banca centrale acquista la gran parte dei nuovi titoli di Stato emessi, con una espansione monetaria assai più massiccia di quella che attendiamo dalla Bce.
Con un po’ di ironia, si potrebbe aggiungere che il Giappone è inoltre il sogno della Lega Nord, perché ha pochi immigrati, o degli imprenditori, perché i profitti sono alti. Di nuovo in recessione dopo lunghi anni di ristagno, ricorre ora a elezioni anticipate nella speranza che rafforzino il governo. Agli occhi dei tedeschi, dà la prova che le ricette opposte alle loro non funzionano.
D’altronde, nell’area euro almeno una parte dei mali va attribuita all’austerità a tempi stretti che ancor oggi è la prescrizione numero uno a Berlino. Senza cedere a certezze prefabbricate, sarebbe bene discutere insieme di rimedi nuovi, adatti a una crisi mai vista prima. Ciò che manca ovunque è la capacità di rinnovare strutture economiche e amministrative logore.
Sia nella Francia che non sa fare riforme, sia nella Spagna che ne ha fatte (non molte) alla tedesca, gli attuali governi non hanno più l’appoggio della maggioranza dei cittadini. Il governo italiano deve rimuovere ostacoli forse ancor più grandi, ma almeno un patrimonio di consenso lo ha ancora: non lo sprechi, è una speranza anche per gli altri.