la Repubblica, 9 dicembre 2014
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Tutto è precario in questa storia di mafia Capitale e può darsi che altre ombre siano incombenti. Per Renzi ogni decisione è un rischio. La soluzione del cosiddetto «accesso agli atti», ossia di un controllo prefettizio sulla gestione del municipio di Roma, è quindi inevitabile. È una forma di commissariamento «morbido» che non cancella il ruolo del sindaco, ma nemmeno gli lascia tutte le carte in mano. E domani è un altro giorno
Come in una matrioska russa, l’inchiesta sul malaffare a Roma è una vicenda giudiziaria che contiene in sé un primo livello politico e poi un secondo livello, ancora in parte da esplorare, in cui politica e istituzioni si mescolano. Cosa ci sarà al fondo di tutto, ancora non è chiaro.
Sull’inchiesta le notizie non mancano e riempiono i giornali. Quanto al primo livello politico, basta sentire ieri Matteo Renzi: «Non lasceremo la capitale in mano ai ladri». Parole che confermano l’alleanza obbligata con il sindaco Marino, l’uomo di cui il premier ritiene di non poter fare a meno in questo frangente perché rappresenta l’unico terrapieno prima del disastro. Le dimissioni del primo cittadino, o peggio ancora lo scioglimento del Consiglio comunale della capitale d’Italia, sarebbero un danno enorme per la credibilità del messaggio renziano. D’altra parte, lo scandalo in corso proietta veleno in ogni direzione, specie all’estero. È la peggiore conferma di tutti i pregiudizi sull’Italia, di tutti i luoghi comuni che alimentano da decenni in Europa il mito negativo di un paese inaffidabile perché prigioniero dell’illegalità e di una classe dirigente meno che mediocre.
La linea di Renzi («cacciamo i ladri») è in sintonia con quella del commissario anti-corruzione, Cantone, ma non basta a nascondere del tutto la grave preoccupazione che si respira a Palazzo Chigi. Come trincea invalicabile, Ignazio Marino non offre molte garanzie. Oggi il sindaco si sente rinvigorito dallo scandalo che colpisce alcuni dei suoi nemici e mette lui su un piedistallo. Ma c’è il rischio che sia un piedistallo fragile. Del resto, Marino non è mai stato un uomo di Renzi, con il quale i rapporti sono stati freddi fino a ieri. Lo stato di necessità può fare miracoli, ma è dubbio che il sindaco possa diventare quel protagonista della rigenerazione politica a Roma di cui il mondo renziano ha urgente bisogno. Tuttavia, come si è detto, le circostanze impongono di sostenerlo nella speranza che gli sviluppi delle indagini non travolgano tutti gli argini.
In ogni caso, se dai casi romani si alzano gli occhi verso il quadro nazionale, è chiaro che l’appoggio a Marino non basta. Non senza ragione il premier rivendica di aver prima contenuto e poi costretto alla ritirata Beppe Grillo e il suo movimento. Ma la crisi dei Cinque Stelle non ha di sicuro cancellato il fenomeno dell’anti-politica. Quando Renzi afferma: «È merito nostro se Grillo torna a fare le tournée in veste di comico», egli dice solo una parte della verità. In realtà il declino di Grillo come leader carismatico non esclude che altri raccolgano il vessillo della contestazione. Il voto in Emilia Romagna ha certificato il malessere degli elettori attraverso un astensionismo senza precedenti. Ma ogni pezzo del territorio nazionale fa storia a sé. Quel che è certo, nessuno nel governo e nella maggioranza può volere le dimissioni di Marino e una corsa auto-lesionista verso le elezioni comunali anticipate. Il problema è quanto a lungo potrà essere tenuta questa posizione.
Esiste infatti un secondo livello politico-istituzionale che riconduce, da un lato, agli sviluppi giudiziari e, dall’altro, al ruolo del prefetto di Roma, Pecoraro, che si trova a maneggiare una materia incandescente. Per un verso le istituzioni non possono restare inerti di fronte a quello che succede in Campidoglio; per l’altro Roma non è un minuscolo comune del profondo Sud che può essere sciolto per mafia senza troppi ripensamenti. Agire su Roma è una responsabilità politica di primo piano, non certo un fatto tecnico.
Ecco perché il prefetto fa riferimento al ministro dell’Interno. Non potrebbe essere altrimenti in questo caso. E Alfano non vuole certo dispiacere a Renzi, ma non può nemmeno chiudere gli occhi, aprendo un credito illimitato al sindaco Marino. Tutto è precario in questa storia e può darsi che altre ombre siano incombenti. La soluzione del cosiddetto «accesso agli atti», ossia di un controllo prefettizio sulla gestione del municipio, è quindi inevitabile. È una forma di commissariamento «morbido» che non cancella il ruolo del sindaco, ma nemmeno gli lascia tutte le carte in mano. E domani è un altro giorno.