la Repubblica, 9 dicembre 2014
Tutti i tormenti di Veronica Panarello, la mamma del piccolo Loris che ora resiste a oltranza davanti alle accuse: «Sì, sono stata infelice ma non è una prova». I cattivi rapporti con la madre dopo avere appreso di essere nata da una gravidanza indesiderata. La solitudine in paese e la casa come una gabbia
Improvvisamente ha ritrovato tutte le forze che sembravano averla abbandonata in questa settimana di tregenda. Ferma, decisa, determinata nel negare tutto, ben lontana dal crollare. Solo un’ammissione: «Sì, è vero, ho avuto un’infanzia e un’adolescenza infelice. E allora?». E allora eccola quella che secondo i pm della procura di Ragusa è la mamma-assassina di Santa Croce Camerina. Mentre Veronica Panarello sale sulla macchina della polizia per andare a trascorrere la notte in questura, ora formalmente accusata dell’omicidio di suo figlio, un investigatore ammette: «Era riuscita a trarre in inganno anche noi, con quelle urla così disperate sin da quando cercavamo il bambino vivo credendo che avesse marinato la scuola». Anche se uno degli psicologi che le era stato accanto tutto il pomeriggio di quel maledetto sabato aveva nutrito da subito più di un dubbio sulla personalità di Veronica.
Forse la chiave di volta è nel suo passato. Nella solitudine, nella depressione di questa giovane mamma che sola è anche adesso nella notte in cui persino davanti alla Procura di Ragusa ci sono famiglie con bambini che attendono di vederla uscire. Per la prima volta, inorridito, accanto a lei non c’è più neanche suo marito Davide che fino a ieri l’ha sostenuta fisicamente e psicologicamente come forse ha fatto per dieci anni. I dieci anni in cui sono stati insieme provando a costruire una famiglia nella quale, forse, Veronica ha finito per riversare tutti i traumi della sua infanzia.
Veronica che si è sempre sentita rifiutata dalla madre, Carmela, che le ha detto di non averla mai voluta, di essere il frutto di una gravidanza indesiderata nata da un rapporto con un uomo che non è il padre che poi l’ha riconosciuta. Veronica che per l’ennesima relazione clandestina della madre (cinque figli da tre uomini diversi) ha tentato di uccidersi a 14 anni stringendosi al collo un laccio e provando ad impiccarsi. Veronica che dalla solitudine e dalla mancanza d’affetto aveva provato a sfuggire con l’amore da “ragazzini” con Davide, una storia poi diventata la sua nuova prigione, anche questa, come quella di mamma Carmela, culminata con una gravidanza indesiderata a soli 16 anni, quella di Loris appunto, e un matrimonio “obbligato”, con un’altra vita solitaria, con un marito sempre fuori casa per il lavoro, e lei diventata adulta prima del tempo ad occuparsi a tempo pieno di quei due bambini. Adesso sono in molti a dire che il suo rapporto con Loris non era idilliaco, che spesso riversava con violenza su di lui tutte le sue frustrazioni.
E violente, anzi violentissime, sono state, sin dal primo momento di questa brutta storia, le reazioni di Veronica. Che ha sempre urlato come un’ossessa tutta la sua disperazione, cadendo distesa per terra anche davanti agli investigatori dopo qualche «non ricordo» di troppo. Persino nelle primissime ore di sabato 29, quando, stretta tra due carabinieri, percorreva in auto le strade del paese alla ricerca di suo figlio che si credeva avesse solo marinato la scuola, Veronica gridava. Suo marito, però, non lo ha mai chiamato, né per comunicargli della scomparsa di Loris e neanche dopo, quando l’hanno portata in caserma per dirle che il bimbo era stato ritrovato morto. «Non volevo farlo preoccupare», si è giustificata davanti agli investigatori che ancora non riescono a dimenticare le urla selvagge, con cui la donna ha reagito alla notizia del ritrovamento del corpo mentre il marito, ignaro di tutto, apprendeva della morte del figlio da Facebook.
E pure quel sabato, mentre tutto il paese cercava Loris, e i cani molecolari rimanevano fermi senza riuscire a trovare nessuna traccia del bambino davanti alla scuola, Veronica ha fatto di tutto per evitare che gli investigatori andassero subito a casa sua a cercare tracce. «Non potete entrare, non ho le chiavi, le ho date a una mia amica». Da quel giorno Veronica ha sempre alternato momenti di urla feroci e crisi convulsive a momenti di semi-incoscienza, occhi chiusi, sul letto, senza toccare cibo, in silenzio catatonico, alzandosi solo per andare nella stanzetta dei suoi bambini, con la farfalla rossa che penzola dal tetto, i giocattoli ordinati uno accanto all’altro, i lettini vuoti da quando Loris non c’è più e il piccolino è stato affidato ad una zia.
Una strana e fragile piccola donna Veronica. E chissà se raccontando tante bugie così grossolane, se omettendo tante cose raccontate dai suoi stessi familiari (come per esempio la sua familiarità nella zona del Mulino Vecchio vicino al quale aveva abitato anni fa), se consegnando alle maestre quelle fascette che aveva in casa, Veronica non abbia voluto proprio inconsciamente seminare indizi che portassero fino a lei.