La Gazzetta dello Sport, 7 dicembre 2014
Ieri, giornata tranquilla nell’inchiesta Mondo di Mezzo, o Mafia Capitale. Il bollettino si riassume in un’esortazione del segretario di Stato vaticano, monsignor Pietro Parolin, il quale andando in visita all’ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma ha chiesto: «Come si fa a vivere senza legalità? Una società che non cura la legalità è una società destinata a lasciare il predominio soltanto al più forte e a calpestare il più debole»; nell’autosospensione dal Pd dei tre indagati di quel partito (Ozzino, Coratti e Patanè) assai apprezzata dal commissario Orfini, l’uomo incaricato da Renzi di mettere mano al Pd romano; nella richiesta di Silvio Berlusconi di sciogliere il consiglio comunale di Roma; nella furia dell’onorevole democratica Michaela Campana, messa alla gogna per un sms spedito a Salvatore Buzzi, braccio destro di Carminati, in cui lo saluta con «…bacio, Grande Capo»: la Campana ha giustamente fatto notare che Buzzi era in quel momento il capo della più grande cooperativa – meglio: rete di cooperative – romana, niente di strano che ci fossero scambi di sms, niente di strano nemmeno in quel saluto finale, scherzoso; e poi, nella decisione del sindaco Marino di disporre «la rotazione dei dirigenti capitolini a cominciare dagli incarichi apicali di tutte le strutture»
Ieri, giornata tranquilla nell’inchiesta Mondo di Mezzo, o Mafia Capitale. Il bollettino si riassume in un’esortazione del segretario di Stato vaticano, monsignor Pietro Parolin, il quale andando in visita all’ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma ha chiesto: «Come si fa a vivere senza legalità? Una società che non cura la legalità è una società destinata a lasciare il predominio soltanto al più forte e a calpestare il più debole»; nell’autosospensione dal Pd dei tre indagati di quel partito (Ozzino, Coratti e Patanè) assai apprezzata dal commissario Orfini, l’uomo incaricato da Renzi di mettere mano al Pd romano; nella richiesta di Silvio Berlusconi di sciogliere il consiglio comunale di Roma; nella furia dell’onorevole democratica Michaela Campana, messa alla gogna per un sms spedito a Salvatore Buzzi, braccio destro di Carminati, in cui lo saluta con «…bacio, Grande Capo»: la Campana ha giustamente fatto notare che Buzzi era in quel momento il capo della più grande cooperativa – meglio: rete di cooperative – romana, niente di strano che ci fossero scambi di sms, niente di strano nemmeno in quel saluto finale, scherzoso; e poi, nella decisione del sindaco Marino di disporre «la rotazione dei dirigenti capitolini a cominciare dagli incarichi apicali di tutte le strutture». Intanto, il Movimento Cinque Stelle torna alla carica: Grillo e Casaleggio ieri hanno chiesto le dimissioni di Marino: «Per il bene della città e del Paese, Marino faccia un passo indietro».
• Parliamo da giorni di tutto e di tutti, Buzzi, Alemanno, Orfini, i dimessi del Pd e del vero, grande personaggio uscito dall’inchiesta abbiamo detto, e probabilmente sappiamo, pochissimo. Vuol dire Carminati? Ha ragione, personaggio di grande interesse, le dirò anzi una cosa che la scandalizzerà: paradossalmente trovo Carminati superiore rispetto a tutti gli altri. Benché l’uomo sia stato un fascista dei più violenti, un assassino, un corruttore, pure sento in quello che dice, nel modo in cui lo dice, una conoscenza del mondo profonda, frutto evidente di una riflessione prolungata portata avanti in mezzo a tutto quel fango, persino una specie di disgusto per quello che lo circonda. In una intercettazione, carpita durante una conversazione con un alto funzionario di Finmeccanica: «Tanto io mi faccio cremà ... e mi faccio buttà nel cesso... Lascio in giro soltanto un pollice... voglio lascia’ in giro un pollice così magari quando... dopo che sono morto... fanno qualche ditata su qualche rapina su qualche reato... così dicono che sono ancora vivo... A me non mi frega un cazzo della vita».
• Poi c’è il famoso discorso del Mondo di Mezzo.
Sì. Nessun giornalista, nessuno scrittore è riuscito a costruire una metafora tanto fulminante. Carminati sta al telefono con Riccardo Brugia e gli dice: «È la teoria del mondo di mezzo… Ci stanno i vivi sopra e i morti sotto, e noi stiamo nel mezzo… un mondo in mezzo in cui tutti si incontrano e dici: cazzo, com’è possibile che quello… che un domani io posso stare a cena con Berlusconi… Capito, come idea? Il mondo di mezzo è quello dove tutto si incontra… si incontrano tutti là… Allora nel mezzo, anche la persona che sta nel sovramondo ha interesse che qualcuno del sottomondo gli faccia delle cose che non le può fare nessuno… E tutto si mischia».
Ma che cosa sappiamo di lui in concreto?
Che vita ha fatto fino ad ora. Intanto, come tutti i veri boss, risulta privo di reddito, privo di cariche, non è socio da nessuna parte, è uno che ha dominato gli altri, che è stato chiamato dagli altri evidentemente proprio per questa superiorità. In carcere non parla ed è, in genere, uno che ha sempre parlato pochissimo. Adesso ha 56 anni, è sposato con una donna che si chiama Alessia Marini, l’unica attività che si può far risalire a lui è un negozio di abbigliamento “Blue Marlin”: lui però non compare né come socio né come amministratore, è tutto intestato alla moglie.
• Com’è la storia dell’occhio sinistro perso per via della pistolettata di un carabiniere?
Stava scappando in Svizzera e, per arrestarlo, un carabiniere gli sparò in testa. Sopravvisse e questo contribuì ad alimentare una leggenda di immortalità, consolidata dal fatto che nei processi – processi terribili – se l’è quasi sempre cavata. Di carcere ne ha fatto, ma poco se si paragona con quello che gli viene attribuito.
• Era fascista, vero?
Prima Avanguardia Nazionale, poi i Nar (Nuclei Armati Rivoluzionari) in un’altra intercettazione lo si sente raccontare che andava a scuola con una 7.65 comprata per 20 mila lire. La carriera continua nella Banda della Magliana, in cui era il Nero di Romanzo criminale del libro di De Cataldo e del film in cui lo interpretava Scamarcio. Ma, se si vuole, è in realtà uno poco cinematografico: non ama guidare, si sposta meglio a piedi o in scooter, si veste senza nessuna ricercatezza, evita per quanto possibile i telefonini. A un certo punto è andato anche a combattere in Libano. Ha scritto Lirio Abbate: «Sembra un piccolo borghese, perso tra la folla della metropoli, ma ogni volta che qualcuno lo incontra si capisce subito dalla deferenza e dal rispetto che gli tributano che è una persona di riguardo».