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 2014  dicembre 08 Lunedì calendario

«Ormai potrei dire: sono colpevole, ho pagato, voltiamo pagina. Ma non ci penso nemmeno: come allora, lo grido con forza, sono innocente». Parla Katharina Miroslawa, la ballerina di night che si è fatta più di tredici anni di galera per l’omicidio dell’amante, Carlo Mazza, freddato in una gelida sera del 1986 dal marito, geloso

Inutile riavvolgere il nastro dall’inizio: in tutti questi anni, Katharina Miroslawa non si è mai spostata di un millimetro. «Ormai potrei dire: sono colpevole, ho pagato, voltiamo pagina. Ma non ci penso nemmeno: come allora, lo grido con forza, sono innocente». Adesso che il marito ha confessato d’avere fatto tutto da solo per gelosia, sparando in quella gelida serata del febbraio 1986 all’industriale playboy Carlo Mazza, forse riapriranno il processo ed emergerà un’altra verità. Ma non è questo che in fondo le importa: «Se concederanno la revisione del processo chiesta dal mio avvocato, Paolo Righi, ne sarò lieta. Se non la concederanno, me ne farò una ragione. Ora voglio pensare soltanto alla seconda vita, cominciata nel 2013, dopo tredici anni di carcere. Non mi chiedo che cosa mi riserverà il futuro: ho imparato a concentrarmi soltanto sull’oggi».
La nuova Katharina vive a Vienna. «Ormai mi considero per un terzo austriaca, perché qui ero scappata negli anni ’90 durante la mia latitanza e qui ora sono tornata per mettere radici, ma anche un terzo polacca, essendo nativa di là, e soprattutto un terzo italiana, perché comunque in Italia ho vissuto tanti anni». Mi tengo pronto: dichiarandosi innocente e martire, dopo tutto questo tempo potrebbe presentarsi caricata a pallettoni di rabbia e odio. Invece mi ritrovo a dialogare con una donna tranquilla, serena, autoironica, persino saggia. Non c’è come attraversare i mari della sofferenza, dicevano gli antichi, per maturare le migliori qualità. «Non avrebbe senso – mi spiega – andare avanti covando risentimenti e veleni contro il mondo intero. Questa seconda vita voglio assaporarla fino in fondo, senza concedere più nulla alla prima, che mi ha portato via abbastanza».
Per non perdersi nemmeno un minuto, l’agenda è piena. Promuove e vende vini veronesi in Austria, crea oggetti di moda, soprattutto borse, e segue la diffusione del suo libro-confessione, scritto con Rody Mirri (editore Vannini). Forse, conviene partire proprio da qui, dal titolo del libro: «Peccato». Katharina due parla senza filtri di Katharina uno: «Ero una ragazza, nemmeno 23 anni, avevo accettato quel lavoro nei night cercando un modo veloce per farmi strada. A un certo punto ho commesso l’errore: mi sono innamorata di un uomo più grande di me. Peccato di adulterio. Questa la mia colpa. Ma non è un reato di omicidio. Da lì in poi però mi sono ritrovata a pagare il reato, non il peccato. Accusata di aver organizzato l’omicidio per incassare i soldi dell’assicurazione. Per trent’anni, un incubo continuo. A un certo punto sono anche scappata, certo: ma scappavo dall’ingiustizia, avevo paura della giustizia. Tutti in Italia parlavano di una Katharina mostruosa, una belva spietata, una Katharina che io non conoscevo. Purtroppo, certi peccati costano...». Dal suo punto di vista, l’Italia potrebbe dunque essere un luogo terribile e disumano. Ma Katharina ha saputo superare: «In fondo l’Italia mi sta restituendo quello che mi ha portato via. Continuo a tornarci per lavoro, promuovere i suoi prodotti e la sua cultura è per me motivo di grande gratificazione. E poi c’è una cosa, una cosa magnifica: mai, dico mai una sola volta, qualcuno mi ha guardata, giudicata, additata come la Katharina di quella storia. Mai. Mi accorgo che tutti riescono a vedere la Katharina che sono».
La Katharina che è viene fuori anche dal lungo percorso del carcere. Mi racconta che in quel tempo interminabile l’ha tenuta in piedi la speranza: la speranza che emergesse la verità, la speranza spicciola delle piccole conquiste, un giorno per volta, una tappa per volta. «Avessi pensato ai tredici anni tutti assieme, ne sarei rimasta schiacciata. Invece sono riuscita a darmi degli obiettivi ravvicinati, anche i più banali». Poi, negli ultimi due anni prima della scarcerazione, il regime di semilibertà sfruttato per studiare teologia: «Mi ha insegnato a pensare più profondo. Quegli studi a Venezia mi sono serviti a ricomporre in qualche modo i pezzi di una vita distrutta. Tredici anni sono tanti, mio Dio. Più quelli prima, buttati nelle inchieste, nei giornali scandalistici, nella fuga. Si vive una volta sola, e io una buona metà me la sono giocata così. Ma sui libri ho imparato ad accettare anche questo. Non ha senso continuare a voltarsi indietro. È comunque la mia vita».
Lezioni di saggezza da Katharina Miroslawa: chi l’avrebbe mai immaginato trent’anni fa, davanti alle foto della pantera scosciata diffuse sui rotocalchi di tutto il mondo. Su quelle foto, su quella Katharina, la bella signora di mezza età oggi ha il coraggio di sorridere con ironia: «Ogni volta ricompaiono. Chiunque parli e scriva di me, ritira fuori la foto della maiala. Di una persona che non c’è più. Che in realtà non è mai esistita». Però lei mi dica come la maiala, dopo trent’anni di calvario giudiziario, può arrivare a questo punto di equilibrio: «Bisogna guardarsi bene dentro. E sapere che ogni giorno, ovunque, tanti esseri umani subiscono ingiustizie atroci, molto peggiori della mia. Tutti avrebbero il diritto di diventare cattivi come belve, di maturare la rabbia più feroce. Ma c’è un’altra strada. Con dolore, con fatica, comunque bisogna accettare tutto. Accettare tutto della vita è il primo passo per viverla. È l’unico modo per impedire al risentimento di rubarti anche la seconda vita. Dopo tutto, in gioventù ho sbagliato: ho incontrato l’uomo sbagliato nel momento sbagliato. Me lo dico: se io non mi fossi fatta l’amante, mio marito non avrebbe sparato. E nessuno mi avrebbe portato via i miei anni migliori. Certo ho pagato in modo spropositato quell’errore. Ma non è il caso di fermarmi ai miei vent’anni. Non si può tornare indietro. Bisogna imparare a vivere in un modo diverso...».
Di quella prima vita le è rimasto solo il figlio, oggi 33enne, residente ad Amburgo. Nient’altro. Dopo mille tribolazioni, in estate è arrivato pure il divorzio dal marito. «Ho chiuso le porte con il passato. Il passato non entra più. Chi adesso vede l’angelo Katharina deve sapere che il demonio Katharina non è mai esistito. Punto. Un demonio non diventa mai angelo. Non ho paura comunque di parlare dell’omicidio di Carlo Mazza. Quando qualcuno timidamente mi chiede qualche spiegazione, non ho problemi: rispondo. Tra tanti errori, compreso quello di dire cose confuse negli interrogatori, per paura di cacciarmi nei guai, non c’è comunque l’atrocità di uccidere l’uomo che amo per incassare un’assicurazione. Esiste una sola verità: sono innocente».
Katharina, verità per verità: ha voglia di rispondere in ordine sparso a domande in ordine sparso?
Un sorriso di curiosità. «Proceda con l’interrogatorio». Se dico denaro? «È utile, non è tutto. Serve per uscire a cena con persone care, ma senza persone care non serve a niente».
Giustizia? «Impossibile. Quella umana».
Peccato? «Purtroppo, si fa. È parte dell’uomo. L’ho detto: la mia odissea in fondo parte da un peccato, l’adulterio».
Italia? «Un Paese meraviglioso. Con molti problemi, anche se i suoi abitanti tendono a ingigantirli. Per quanto mi riguarda, mi lega un rapporto di odio e amore. Quello che mi ha tolto, mi sta restituendo».
Pentimento? «Mai. È importante darsi da fare per non avere motivo di pentirsi».
Futuro? «Bisogna sempre avere voglia di inventarselo».
Amore? «Importantissimo. Proprio io pensavo di averlo cancellato definitivamente. Basta, chiuso, non parlatemi più di uomini. Invece, un bel giorno...».
Dio? «Quando meno te l’aspetti, ti ricompensa. A un certo punto capisce che sei arrivato al limite. Dice: basta, adesso voglio consolare questa mia creatura con qualcosa di bello. La ricompensa arriva da dove non ti aspetteresti mai».
Punto d’arrivo? «Non mi interessa. Non voglio sapere dove si va. Si va».