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 2014  dicembre 08 Lunedì calendario

Due milioni di tessere «fantasma». I sindacati, una potenza economica e politica che può affondare il Jobs act, occupare i talk show, paralizzare l’Italia con gli scioperi. La loro fortuna si basa sui numeri, peccato però che siano falsi

Numeri a sei zeri, numeri da far pesare sui tavoli delle trattative, numeri da sbandierare in piazza nello sciopero generale in un sabato di shopping pre-natalizio. Ma, in fin dai conti, numeri ballerini. Sono i numeri dei sindacati italiani. Dodici milioni e trecentomila iscritti solo per Cgil, Cisl e Uil. È il nuovo esercito della Triplice fra lavoratori attivi, disoccupati e pensionati, soprattutto. Una potenza economica e politica, almeno sulla carta. Possono affondare il Jobs act nel pantano e occupare i talk show. Ma chi rappresentano, davvero, i sindacati? Ecco il dilemma. Perché poi questi numeri roboanti, alla «prova del nove» delle verifiche incrociate tra i vari enti e organismi di controllo (quando ci sono...), tremano paurosamente. E si scoprono almeno due milioni di tessere «fantasma», “autocertificate” al ministero del Lavoro ma senza fondato riscontro. Nell’ultima sfilata in piazza San Giovanni a Roma, Susanna Camusso si è esibita in una nuova versione di «Ufo Robot», per sbeffeggiare Matteo Renzi. Quanto al super potere dei sindacati di far esplodere le tessere, invece, la musica sembra non cambiare mai.
UNA FOTOGRAFIA D’INSIEME
Per avere la tessera del sindacato bisogna iscriversi e versare l’1 per cento del proprio stipendio come contributo, che il datore di lavoro trattiene direttamente dalla busta paga. Per i pensionati funziona allo stesso modo, ma la comunicazione in questo caso va fatta all’istituto previdenziale che effettua la trattenuta. La Cgil pubblica i dati sugli iscritti regione per regione e per categorie. Al 31 dicembre 2013 il sindacato rosso per eccellenza può vantare 5.686.210 tesserati, di cui 2.998.198 pensionati. Le Regioni in cui è più presente sono la Lombardia (914.362) e l’Emilia Romagna (821.758). La Cisl di Anna Maria Furlan conta 2 milioni e 311mila iscritti «attivi», 2 milioni di pensionati e altre 54mila tessere «speciali», in totale fanno 4.372.280 tesserati dichiarati. La Uil, dove Luigi Angeletti ha da poco lasciato il timone a Carmelo Barbagallo, dichiara 1,3 milioni di lavoratori attivi, 582mila pensionati e altri 288mila sotto la voce «II affiliazione». In tutto fanno 2.216.443 tesserati, anche se il numero – fanno sapere – «non è comprensivo delle iscrizioni brevi manu a livello categoriale e territoriale». Sugli iscritti all’Ugl, finita in passato al centro delle polemiche sull’affidabilità dei numeri autocertificati, si è sviluppata una sorta di letteratura parallela. Ad oggi l’Unione generale del lavoro dichiara 2.013.148 iscritti, di cui 458.697 pensionati. Mentre gli ultimi dati forniti dalla Confsal riportano 1.055.000 tesserati, compresi circa 400mila pensionati. E nel calderone, secondo le stime, vanno considerati altri tre milioni di aderenti alla galassia delle sigle minori. In definitiva, sarebbero oltre 18 milioni gli italiani «sindacalizzati». Ma è davvero così?
È UN SINDACATO PER VECCHI?
A dispetto delle ultime crociate a difesa dell’articolo 18 e contro «i licenziamenti indiscriminati», il core business dei sindacati (...)
(...) è rappresentato soprattutto da chi non lavora più: i pensionati. Solo tra Cgil, Cisl e Uil 5,5 milioni «autocertificati» sul totale di 12,3. La prima cartina di tornasole è costituita dall’Inps, che è in grado di «estrarre» il numero degli iscritti ai sindacati, sigla per sigla. Gli ultimi dati disponibili, diffusi dalla Confsal in un rapporto dedicato proprio al fenomeno delle tessere «gonfiate», si riferiscono al 1° gennaio 2012. Ebbene, sono 5.682.075 i pensionati delle cinque grandi confederazioni «certificati» da Inps, Inpdap e dagli altri istituti previdenziali. Invece, stando ai dati dichiarati da Cgil, Cisl, Uil, Ugl e Confsal ne risultano 6.435.557. Balza agli occhi la discrepanza in casa Ugl (oltre sette volte superiore il dato dichiarato rispetto a quello «reale»), ma anche per la Cgil circa 212mila pensionati e altri 104mila per la Cisl non sembrano trovare riscontro. Minime, invece, le differenze in casa Uil e Confsal. Ad ogni modo, in tutto fanno 753.482 pensionati «di troppo». Settecentocinquantamila tessere in eccesso fanno sorgere più di un legittimo sospetto.
MISTERO DI DOMINIO... PUBBLICO
Districarsi nella giungla di comparti e di sigle del settore pubblico non è semplice, ma i cervelloni dell’Istat aiutano ad orientarci. Sappiamo che i lavoratori attivi nella macchina della pubblica amministrazione sono circa 3,3 milioni. In questo ambito, per verificare le cifre fornite dai sindacati possiamo affidarci a un ulteriore confronto. Dalla fine degli anni Novanta l’Aran, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni, raccoglie le deleghe in servizio nel pubblico impiego ovvero le trattenute in busta paga. A novembre 2012 l’Aran ha stilato la «prima rilevazione automatizzata della rappresentatività», censendo oltre 300 organizzazioni sindacali e conteggiando 1.282.000 lavoratori tra gli «statali».
Però i conti non tornano di nuovo. Sommiamo i lavoratori attivi del pubblico impiego dichiarati dalla Cgil (601.962), dalla Cisl (319.170) e dalla Uil (345.543), più circa 170mila dalla Confsal. L’Ugl, per bocca dell’ex segretario Giovanni Centrella, rivendicava «il 7,6% di tesserati nel pubblico impiego» in relazione alle cifre attestate dall’agenzia, pari a circa 97.500 lavoratori. In totale, abbiamo 1.534.715 tessere. Finiamo quindi per ritrovarci 250mila iscritti in sovrannumero, considerando solo le cinque confederazioni maggiori. Spiegabile solo in parte con il fatto che l’Aran, nel suo monitoraggio, non contempla settori come sicurezza, ambiente, magistratura o professioni universitarie.
AFFARI PRIVATI
Anche qui le zone d’ombra si allungano. In Italia sono circa 19 milioni i lavoratori attivi nel privato (lo dice l’Istat). La statistica può esserci ancora una volta utile. Il Cnel fissa al 33,8% il tasso medio di sindacalizzazione in Italia, dato in controtendenza rispetto all’Europa a 27, in cui – secondo la Commissione europea – il tasso oscilla attorno al 25% tra i lavoratori dipendenti.
Non resta che un ultimo controllo incrociato. Andando cioè a sottrarre al totale degli iscritti (pubblico più privato) dichiarati da Cgil, Cisl, Uil, Ugl e Confsal gli iscritti certificati dall’Aran. Ed ecco la cifra monstre di 7,6 milioni di iscritti nel settore privato. Ma in virtù del tasso al 33,8%, i lavoratori del privato «sindacalizzabili» potrebbero essere al massimo 6,5 milioni. Qui invece lo stesso rapporto toccherebbe il 40%. E solo nelle cinque principali confederazioni, senza considerare le sigle minori. Un buon 6% su 19 milioni di lavoratori, insomma. Pur calcolando un possibile margine di errore, significa un altro milioncino abbondante di tessere senza apparente giustificazione. Il conto finale è presto fatto e supera quota due milioni di iscritti, diciamo così, «fantasma».
CHIAREZZA CERCASI
Tessere «gonfiate»? O addirittura «false», come ha azzardato l’eurodeputata del Pd Pina Picierno in polemica con la Camusso e sollevando un polverone mediatico? Difficile provarlo. Ed è proprio questo il punto: emerge un’esigenza di chiarezza e trasparenza. Proprio quella che i sindacati pretendono dai politici e dagli imprenditori, o dai «padroni», se preferite. Serve un serio controllo esterno sui numeri dei sindacati, bilanci compresi. A gennaio scorso Cgil, Cisl, Uil e Confindustria hanno varato le regole del Testo unico sulla rappresentanza sindacale con l’obiettivo di misurare il «peso specifico» nel settore privato a livello nazionale e aziendale. Un sistema che incrocia le deleghe rilevate dall’Inps e i voti raccolti alle elezioni delle Rsu, come avviene nel pubblico impiego. Spetterà al Cnel calcolare la rappresentanza di ciascuna sigla e sono previste sanzioni per chi sgarra. L’accordo tuttavia è rimasto inattuato, piovono ricorsi, nel frattempo lo stesso Cnel finisce nella tagliola renziana con il ddl costituzionale già approvato dal Senato e ora invischiato nelle sabbie mobili della Camera.
Riguardo allo zoccolo duro dei pensionati, infine, una soluzione ci sarebbe – come ha suggerito Giuliano Cazzola, ex dirigente Cgil -: impedire all’Inps la riscossione permanente delle deleghe e obbligare al rilascio delle tessere anno per anno. Naturalmente ai sindacati non va giù. In questi tempi di crisi, centinaia di migliaia di anziani risparmiatori delusi busserebbero alla loro porta con le letterine di revoca tra le mani...

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Ci avete provato già due anni fa a smascherare i furbetti del sindacato. Marco Paolo Nigi, ssegretario della Confsal, non è cambiato nulla?

«La ratio della nostra ricerca era far percepire quanto fosse grave la mancata trasparenza sul numero degli iscritti nel settore privato. Era ed è resa possibile dalle dichiarazioni senza riscontro “fondato” sulla certezza del numero delle deleghe fatte annualmente da ogni sindacato al ministero del Lavoro e consentiva “azzardi numerici” che sostenevano e giustificavano gli “azzardi mediatici” di qualche particolare sigla confederale». 
Denuncia caduta nel vuoto?
«Non facemmo che dire “il re è nudo” in quanto, da confederazione autonoma sganciata dalla politica, trovavamo non solo sospetto ma anche pericoloso che sigle "baciate" dal favore partitico-politico potessero motivare così il loro diritto di sedersi ai tavoli di concertazione».
Ma così fan tutti, o no?
«Qualche anno fa feci una sorta di autodenuncia. Dicevo che la cifra da noi dichiarata al ministero era maggiore per necessità, poiché altre confederazioni meno consistenti di noi dichiaravano così tanto da rendere impossibile la nostra verità. Ora si faccia chiarezza e si vedrà che la Confsal è la vera quarta confederazione sindacale».
Chi bluffa allora?
«Non credo che le grandi confederazioni abbiano bluffato sul numero dei loro iscritti, non ne hanno bisogno. E poi - a parte il caso palese dell’Ugl - un range di qualche punto percentuale va concesso, proprio per la vita “mobile” del sindacato nel corso della quale può accadere che ci siano alcuni slittamenti di consensi e di tessere».
Si può «cambiare verso» al sistema?
«Il governo proponga e il Parlamento vari finalmente una legge sulla rappresentanza e rappresentatività sindacali. Non basta un semplice accordo facilmente eludibile. Serve un sistema che consenta di calcolare i reali numeri sindacato per sindacato, confederazione per confederazione».
Intanto i sindacati restano nel mirino. 
«Verità dei numeri, chiarezza della rappresentatività, nuova dignità della rappresentanza: di questo il sindacato ha bisogno. È e deve essere in proporzione al mandato dei suoi iscritti e nessuno, neanche un premier, può negare il dovere e il diritto di rappresentanza».